Nuovi impianti di risalita, la voce degli imprenditori di montagna

Sulle Dolomiti un gruppo di imprenditori è convinto che il turismo lento, sostenibile e di qualità sia la ricetta giusta per il futuro economico e sociale delle comunità delle Terre alte

«Non siamo a priori contro lo sci alpino e non ci riteniamo ambientalisti in senso stretto. Certo, l’ambiente ci sta a cuore, ma ci interessa spostare l’attenzione su elementi che riteniamo più importanti per affrontare il futuro della montagna e dei suoi abitanti». A parlare è Federico Sordini, imprenditore di Rocca Pietore (BL), una delle persone che a fine febbraio ha manifestato sulla Cima Settsass, tra Arabba e la Val Badia.

Manifestazioni in luoghi minacciati da nuovi impianti sciistici

Il gruppo, che riunisce in maniera informale uomini e donne che vivono e lavorano in montagna, ha esposto striscioni per richiamare l’attenzione sul difficile momento che stanno vivendo le Terre alte, intese come ambiente, comunità e sistema economico. Una manifestazione che si è differenziata dal coro di proteste che, proprio in quei giorni, si erano levate da molte zone alpine e appenniniche per la proroga della chiusura degli impianti di risalita. «Questa azione fa seguito a quella di settembre alle Cinque Torri e a quella di dicembre in Marmolada. Sono tutti luoghi minacciati da progetti di nuovi impianti sciistici, che li snaturerebbero fortemente». Sordini è titolare di un’azienda di prodotti in lana merinos. «Tra noi, c’è chi gestisce b&b, chi affitta appartamenti ai turisti, oltre a rifugisti e guide alpine. Condividiamo una visione in maniera assolutamente non ufficiale. Abbiamo solo una pagina Facebook, che si chiama “Basta impianti"».

Striscione Settsass
Il messaggio degli imprenditori delle Terre alte © Cristian Cesaro

Non solo sci alpino per il rilancio della montagna

Il gruppo di abitanti della montagna sottolinea un concetto.

«Le nuove infrastrutture non avrebbero ricadute così ampie come i promotori vogliono far credere. Sono progetti che hanno costi sociali e ambientali altissimi, mentre le ricadute positive sono per pochi», sottolinea Sordini. «Quello di cui abbiamo prioritariamente bisogno sono la messa in sicurezza dei pendii colpiti da Vaia, il contrasto al dissesto idrogeologico, la fibra per una connessione veloce, gli ospedali e le scuole, che continuano a essere chiusi. Se vogliamo vivere in montagna ci occorrono aiuti seri, che coinvolgano tutti gli aspetti della nostra quotidianità e che non si rivolgano a un unico comparto. Lo sci alpino esiste, sappiamo che è importante, ma non può essere l’unico settore su cui puntare. La pandemia ci ha dimostrato che puntare tutto su un’unica attività, in caso di imprevisti ci uccide».

Manifestazione Settsass 2
I manifestanti con lo striscione © Cristian Cesaro

Una ricetta per far fronte a pandemia e crisi climatica

Questi imprenditori delle Terre alte ci tengono a precisare che hanno condiviso le proteste per la decisione di Governo di rinviare l’apertura dei comprensori sciistici la sera prima della data prevista. «Ma se noi avessimo un ventaglio di offerta più ampio, potremmo fare fronte a queste emergenze in maniera migliore», chiosa Sordini, che evidenzia come nelle settimane “gialle” le persone venute in montagna siano state numerose, nonostante la chiusura delle regioni. «Naturalmente erano tutti veneti, e la presenza si concentrava soprattutto nei weekend, ma chi ha ideato offerte alternative è riuscito a lavorare. Penso, ad esempio, ai percorsi per lo slittino rivolti ai bambini che hanno allestito nel Comelico. Insomma, se diversifichiamo l’offerta potremmo da un lato impattare meglio situazioni emergenziali come quella creata dal Covid, e dall’altro potremmo allungare la stagione turistica». L’imprenditore di Rocca Pietore è dunque convinto che la diversificazione dell’offerta turistica e la destagionalizzazione renderebbe la montagna più resiliente, sia alle pandemie che alle conseguenze della crisi climatica.

«Penso alle escursioni a dorso d’asino, a quelle con le ciaspole o alle fattorie didattiche. Noi abbiamo solo lo sci che, per carità, dà lavoro a noi montanari e offre la possibilità di praticare sport ai turisti, ma non deve essere l’unica alternativa possibile. Una forma di turismo lento e protratto nel tempo farebbe forse guadagnare meno, ma sicuramente più a lungo».

A questo proposito Sordini ritiene che la convinzione della maggior redditività della stagione invernale rispetto a quella estiva sia un mito da sfatare.

«D’inverno ci sono più turisti, è vero, ma anche molti più costi per mantenere il carosello sciistico. Le attività estive non hanno nulla da invidiare a quelle invernali, e sono molto più varie e diversificate».

Manifestazione Settsass salita
I manifestanti durante la salita © Cristian Cesaro

Una visione che arriva dalla società civile

Questa è una visione che viene dal basso, dalla società civile, da abitanti della montagna preoccupati per il proprio futuro, senza avere alle spalle associazioni di protezione ambientale o gruppi di pressione di vario genere. Per questo, quindi, si tratta di un punto di vista ancora più importante. Sul quale riflettere, che arriva direttamente dalle Terre alte. Un punto di vista molto simile alla posizione del Cai ribadita nel recente documento sull’industria dello sci.

«Lo scenario evocato da queste persone va oltre l’ambientalismo e si colloca sul versante dello sviluppo sostenibile», commenta il Vicepresidente del Cai Erminio Quartiani. «Le azioni di questo gruppo dimostrano come sia prioritario un nuovo modello di sviluppo della montagna, da condividere con chi vive, lavora e imprende nelle Terre alte».

Il video del filmaker Lorenzo Barutta che racconta la giornata