La vecchia pista da bob di Cortina © Comitato Civico Cortina
Ancora una volta si è scelta la realizzazione di una nuova “opera inutile” in luogo della salvaguardia e della valorizzazione di beni naturali comuni. Come già accaduto, ad esempio, per i lavori effettuati gli scorsi anni nella conca ampezzana per i mondiali di sci del 2021.
Quanti larici sono stati e saranno tagliati per far posto alla pista olimpica da bob a Cortina d’Ampezzo? Qualcuno ha detto 500, oppure 600, qualcuno teme addirittura 2000!
Ma, come è stato anche opportunamente osservato (1), l’azione – ossia il taglio degli alberi – non deve far dimenticare l’intenzione.
Infatti, è certamente gravissima la perdita, in termini di naturalità del territorio e del paesaggio intorno a Cortina, provocata dall’abbattimento di così tanti alberi, ma va pure ricordato che i “parchi a larice” da secoli sono soggetti a tagli per l’utilizzo di ottimo legname nell’edilizia e nell’industria del mobile (tuttavia con criteri ben diversi dal taglio a raso, che qui si sta operando senza alcuna considerazione delle procedure forestali!).
La questione più importante, dunque, è il motivo – che sta dietro a tale abbattimento. La costruzione dello Sliding Centre di Cortina: è questo il problema vero. Un’opera contro cui si sono espressi in molti, fra comuni cittadini, associazioni e comitati civici, e anche lo stesso Comitato Olimpico Internazionale. Un’opera che, mutuando le critiche mosse dal CIO (2), è da ritenere intempestiva rispetto al cronoprogramma predisposto per le Olimpiadi invernali 2026, enormemente costosa (verosimilmente poco meno di un centinaio di milioni di euro), non sostenibile quanto al suo mantenimento in futuro, sostanzialmente inutile (vista la disponibilità di altri impianti già funzionanti e considerato il ristrettissimo numero di praticanti delle discipline sportive interessate). E senza considerare l’ulteriore consumo di suolo (diversi ettari) che l’opera comporta, problematica questa che già vede il Veneto posizionarsi ai primi posti fra le regioni italiane!
Eppure dovrebbe rappresentare un importante monito il rudere della pista da bob di Cesana Torinese, in Val di Susa, costruita per le Olimpiadi invernali di Torino del 2006 e ormai abbandonata da oltre 16 anni. Ma, evidentemente, anche in questo caso la storia non è magistra vitae.
A dispetto di ogni considerazione, anche di ordine economico, si continua infatti ad inseguire un modello di montagna nello stile “Vacanze di Natale”, cercando di perpetuare modalità di frequentazione che da più parti vengono considerate ormai fuori dal tempo.
Per alcuni le “strategie di adattamento” ai cambiamenti climatici (meglio: al riscaldamento globale) consistono non già nel perseguire nuove modalità di frequentazione e valorizzazione del territorio e dell’ambiente, di minore impatto e coerenti con le mutate condizioni, bensì nell’investire nuove ingenti risorse pubbliche per continuare ad assicurare, nonostante tutto, le ormai sorpassate modalità di fruizione, anche se ciò comporta l’adozione di soluzioni ancora più impattanti ed energivore. In tal senso rappresenta un esempio emblematico la scorsa edizione delle Olimpiadi invernali, che in Cina ha visto – per la prima volta nella storia di questa manifestazione – l’esclusivo utilizzo di neve artificiale.
Nel frattempo… si continua ad assistere a code interminabili di auto ogni domenica sera lungo le strade provenienti dal Cadore. Ma evidentemente gli sciatori domenicali si sono già sufficientemente allenati, durante il giorno, restando a lungo in coda davanti ai costosissimi impianti di risalita.
E nel frattempo… i boschi del Veneto e del Trentino, già devastati da Vaia (ottobre 2018) e ulteriormente feriti dalle piste forestali realizzate per i conseguenti lavori di esbosco, muoiono per la parassitosi da bostrico, la cui pullulazione trova spiegazione certamente nell’enorme quantità di legname a terra a seguito degli schianti provocati da quella tempesta, ma senza dubbio anche nelle mutate condizioni climatiche della montagna: inverni tiepidi ed estati calde che provocano una situazione di sofferenza nella pecceta alle nostre latitudini, che per l’abete rosso corrispondono in buona sostanza al limite meridionale dell’areale.
Così, l’immagine di sé che prossimamente darà Cortina d’Ampezzo e in genere la montagna veneto-trentina, rischia di essere quella di un territorio alpino pressoché privo di boschi, ma “ornato” da strutture arrugginite di metallo e cemento, a perpetuare il ricordo di tempi ormai irrimediabilmente passati.
1. Torreggiani L., I larici tagliati per la pista da bob di Cortina non devono farci confondere l’azione (il taglio di alberi) con l’intenzione (la costruzione dell’impianto). “L’Altra Montagna – notizie, idee, storie”, 21 febbraio 2024, articolo ripreso da “il Dolomiti” (www.ildolomiti.it/altra-montagna/attualità/2024).
2. Dichiarazioni rese da Kristin Kloster, presidente della commissione di coordinamento del CIO per Milano-Cortina 2026, in data 15 gennaio 2024 (cfr. Comunicato stampa del 25 gennaio 2024, firmato dalle associazioni: Mountain Wilderness, Comitato Peraltrestrade Carnia-Cadore, Italia Nostra Sezione di Belluno, LIBERA, WWF Terre del Piave, Ecoistituto Veneto “Alex Langer”, Gruppo Promotore Parco del Cadore).