Le prime luci in rifugio © Simone AlessandriniÈ mattina presto. Il rifugio respira nel silenzio sottile dell’alta quota. L’aria è tersa, quasi sospesa, come se il mondo intero fosse in attesa. Al piano di sopra, i clienti dormono ancora, avvolti nei loro sogni di montagna, ignari di questo momento di assoluta quiete. Solo chi ha vissuto un’intera stagione in rifugio può comprendere la profondità di questa sensazione: un equilibrio perfetto tra solitudine e connessione, tra il respiro della natura e il battito umano che a breve tornerà a riempire le stanze con richieste di caffè caldo, di una fetta di torta, di consigli su sentieri e orizzonti.
La stagione invernale, per i rifugi accessibili durante i mesi più freddi, si avvia al termine. L’ultima neve si deposita sulle assi di legno della terrazza, quasi a voler proteggere un altro capitolo di vita trascorso quassù. Per chi, invece, attende l’estate per spalancare le porte ai viandanti, è già tempo di programmazione: acquisti, ricerca del personale, bilanci. È il periodo del limbo, dove il passato e il futuro si intrecciano in un gioco di riflessioni. Si fa i conti con ciò che è stato, con gli imprevisti affrontati, con le soddisfazioni e le piccole delusioni. È un tempo sospeso, un momento di attesa carico di aspettative.
"Le montagne sono maestre mute e fanno discepoli silenziosi", scriveva Goethe. Lavorare in rifugio significa imparare a decifrare questi insegnamenti silenziosi, adattarsi a un ritmo che non è imposto dall’uomo, ma dalla natura stessa. È un’esperienza complessa, un cammino che spezza le comodità della vita in valle e ne offre di nuove, più essenziali, più vere.
Qui il tempo non è scandito dagli orologi, ma dai passi sul sentiero, dal suono del vento che cambia direzione, dalla luce che muta sulle cime al tramonto. Non ci sono doppi o tripli turni per cenare: si cena presto, quando il rifugista dice che è pronto e si fa silenzio presto, perché la montagna è prima di tutto rispetto.
Vivere e lavorare in un rifugio significa abbandonare certezze per abbracciare un’esistenza fatta di imprevisti e di meraviglia, dove la fatica fisica si mescola alla gratitudine di un tramonto visto da una finestra solitaria. È un luogo in cui la gentilezza è ancora un valore e il rispetto non è un concetto astratto, ma un gesto concreto: il cliente che ringrazia, l’escursionista che pulisce il tavolo prima di andare via, lo sguardo complice tra colleghi che condividono la stessa sfida, giorno dopo giorno.
Nel rifugio si impara ad ascoltare. Il respiro del bosco, lo scricchiolio della neve sotto gli scarponi, il mormorio del vento tra le pietre. Ma soprattutto si impara ad ascoltare sé stessi. Lontano dalle distrazioni della quotidianità e qualche volta anche dalle connessioni internet, emergono pensieri che in valle resterebbero sommersi dal frastuono. La montagna spoglia, la montagna rivela. È uno specchio senza filtri, una voce senza bugie.
E mentre il sole inizia a scaldare le pareti di legno e il profumo del caffè sale dalla cucina, il rifugio si risveglia. I clienti scendono alla spicciolata, gli zaini pronti per nuove avventure. Le chiacchiere si accendono, il silenzio si dissolve. Eppure, dentro chi ha vissuto la stagione quassù, rimane la certezza che questi momenti di quiete sono il vero lusso della montagna. Momenti che nessuna fotografia può davvero catturare, perché appartengono a chi li vive, a chi ha imparato ad ascoltare la voce dell’anima del rifugio.