Chi lo dice che lavorare come guida alpina e aprire vie siano due mondi inconciliabili, se non altro in contemporanea? Certo, non lo si può fare con persone qualsiasi, ma è la stessa storia dell'alpinismo che ci racconta di itinerari di valore, aperti da guide che portavano i propri clienti a fare qualcosa di “diverso” rispetto alle vie conosciute. L'esperienza di Paolo Marazzi con Riccardo Riva e Luca Robbiati sulla via Labocaiana (490 metri, 6b+ max), in valle del Ferro, è l'ennesima riprova di questo modo molto particolare e intrigante di vivere la montagna.
L'itinerario della via. Si noti a metà la via di fuga/discesa © Paolo MarazziMarazzi in val Masino è praticamente di casa e ha l'occhio allenato a vedere quello che c'è e quello che ci potrebbe essere su una parete. In questo caso è stato lo spigolo est dell'avancorpo del Cavalcorto a catturare la sua attenzione. «Lì vicino c'è una falesia, per cui è un posto in cui capita di trovarsi. Quando ho visto la linea ho subito pensato che era estetica, davvero molto bella: uno spigolo ripido, pieno di fessure e placche. Volevo salirla subito ma dovevo lavorare in questo periodo; così ho pensato di unire le due cose e l'ho proposta a Riccardo e Luca, due clienti/amici. Alla fine ne è uscita una gran via: la roccia è strabella, un mix di diedri fessure e placche lavorate per un totale di 13 lunghezze, circa 490 metri di sviluppo. Tra l'altro ho scoperto che lì vicino c'è una via di Popi Miotti, roba degli anni '70 o '80. Dovrebbe essere la via dell'ingegnere nucleare. Ma le fessure sono piene d'erba, non è percorribile, qua e là si vedono ancora spuntare i cordini».
Lì vicino c'è una via di Popi Miotti, roba degli anni '70 o '80. Dovrebbe essere la via dell'ingegnere nucleare.
Per raggiungere l'attacco della via, da San Martino bisogna prendere per la Val Ferro e seguire il sentiero per il bivacco Molteni-Valsecchi fino all'alpeggio e alla prima casera. Faccia a monte si punta l'avancorpo, che si raggiunge dopo diversi saliscendi. La via presenta difficoltà che vanno dal 5a al 6b+, ultimi tre tiri esclusi. «Dopo la prima parte, i primi quattro tiri, volendo si può uscire per una vecchia cengia di melat (pastori, ndr). L'ultimo tiro prima della cengia lo si può fare per la variante di 6b+ o per il 5b, che in realtà è la scelta più logica. Sopra, la via si fa più dura, a parte gli ultimi tre tiri che hanno un interesse solo alpinistico, per chi vuole arrivare in cima. Altrimenti ci si cala al termine del decimo tiro fino alla cengia, da dove si rientra a piedi. Le doppie sono tutte attrezzate con due fix collegati da cordone più anello e fino all'undicesimo tiro ci sono delle soste intermedie a 30 metri, per potere scalare la via con la corda da 60».
Paolo apre in fessura © Paolo MarazziLa linea è davvero estetica, Marazzi ha trovato quel che cercava anche in termini di difficoltà. «Non volevo una via troppo impegnativa, ma una salita da ripetere. La spittatura è “mellica”: volevo una via tradizionale, ho messo spit solo nella seconda parte, un paio sui primi tiri di placca e poi ancora più su, dove c'era una fessura un po' ballerina. Per quanto riguarda le placche, non bisogna aspettarsi l'aderenza, sono comunque placche appigliate».
Le belle placche appigliate della via Labocaiana © Paolo MarazziIl nome, dal sound vagamente “tropicale”, in realtà deriva da un fortuito incontro con un vecchio ritaglio di giornale e da uno scherzo nato sopra. Labocaiana infatti è una storpiatura di Labocaina, un deodorante in polvere degli anni '80, il claim recitava «La pelle pizzica?»…
In cima con Riccardo Riva e Luca Robbiati © Paolo Marazzi