Una via sul Mont Greuvetta per i giovani alpinisti del CAI Eagle Team

"Ave Jacki" è stata aperta tra il 27 e il 28 giugno del 2024 da Alessandra Prato, Camilla Reggio, Marco Cocito e Alessandro Baù
© Camilla Reggio

L’idea di aprire una nuova era ottima per almeno tre diverse ragioni: la smania di fare esperienza per chi è alle prime armi nel mondo della chiodatura ma ha già perso la testa; il meteo e le condizioni poco promettenti per l’alta quota, che ci avevano già costretto a depennare diverse salite dalla lista di sogni da realizzare nella settimana;  l’esigenza di rodare la cordata con Camilla, dal momento che siamo letteralmente in partenza per una spedizione e non avevamo mai aperto nulla insieme

Il team era presto fatto: naturalmente Io e Camilla (Reggio ndr), e il buon vecchio Marco (Cocito ndr), una garanzia di solidità e di motivazione. Il luogo prescelto inizialmente era la zona del Rifugio Dalmazzi, che io e Cami già conoscevamo un po’, e pareva ci fosse spazio su alcune delle pareti del Triolet.

Camilla Reggio © Bivacco Gervasutti

Nonostante avessimo programmato soltanto queste due cose, siamo riusciti a sovvertirle entrambe. Studiando le informazioni che avevamo sulle pareti e sulle condizioni degli avvicinamenti e dell’innevamento, abbiamo presto capito di dover considerare altre zone. Inoltre ci é stato proposto di avere come tutor il mitico Alessandro Baù: eravamo entusiasti di avere Ale con noi, ma purtroppo avevamo l’attrezzatura necessaria ad aprire per una sola cordata (un solo trapano principalmente), e non sapevamo inizialmente come gestire la faccenda: ma era un’occasione decisamente imperdibile poter chiodare con lui e imparare qualcosa dal suo notevole bagaglio di esperienza, per cui andava trovata una soluzione.

Dopo una serata seduti a un tavolino a contar chiodi e liofilizzati, guardare previsioni meteo, osservare foto sfocate di pareti sconosciute, scervellarci per capire come muoverci, abbiamo infine partorito questa idea: saremmo andati al Bivacco Gervasutti, e ci saremmo divisi in due cordate. Il primo giorno una cordata avrebbe iniziato la via, e l’altra avrebbe scalato alle Petites Jorasses; il secondo giorno ci saremmo invertiti. L’idea era di usare meno spit possibili, massimizzando l’utilizzo delle protezioni veloci o al più dei chiodi. Era un piano secondo noi geniale.

All'interno del Bivacco Gervasutti © Marco Cocito

Siamo così partiti mercoledì 26/06 pomeriggio con zainoni di cento kg contenenti materiale per chiodare, per scalare, e milioni di marmellatine. Sotto un indimenticabile diluvio universale abbiamo risalito la ferrata e attraversato il ghiacciaio, tra bollite e imprecazioni, fino a raggiungere il bellissimo e ambito bivacco-astronave Gervasutti.

Una tazza di tè, una cenetta di zuppe e salame alla barbabietola e una sana dormita ci hanno rigenerato dal faticoso avvicinamento. Il mattino seguente io e Cami abbiamo aperto le danze. Ci siamo avvicinate alla parete del Greuvetta, un imponente sistema di lame, placche e fessure che si erge per 500 metri: incredule di trovare la roccia asciutta nonostante il nubifragio del giorno prima, individuiamo un’invitante fessura che sarà l’attacco della nostra via.

© Camilla Reggio

Parte Cami (ne ha tutto il diritto..la maggior parte del materiale è suo incluso il trapano!), che si districa abilmente in quello che risulterà assolutamente un tiro non banale: intanto prendiamo le misure e ci allineiamo sulle manovre un po’ più complesse che mai avevamo provato insieme, come il recupero del trapano e il passaggio di materiale con cordino, o banalmente l’assicurazione su cliff (un piccolo uncinetto che si aggancia alle tacche a cui si appende delicatamente per poter chiodare). sembra funzionare tutto bene. Dopo circa 40 m di calore per lei e gelone per me, Cami attrezza una sosta, mettendo due spit, mi recupera e invertiamo i ruoli: parto io carica come un somaro, armata di trapano, spit, martello, chiodi e ferraglia varia appesi all’imbrago, pesante come un macigno ma emozionata: pianto il primo chiodo che canta insieme a Cami, entrambi mi acclamano! Molto bene, proseguo serena e giungo a una sezione di placche semplici, fessurate, e meravigliose, che mi lasciano ampio margine di scelta per la linea: punto così alla base di una lama-fessura, e dopo diversi metri di divertimento cedo di nuovo il testimone. 

Così iniziamo ad alternarci, troviamo subito l’intesa giusta e la giornata scivola via tra placche compatte, lame e fessure goduriose. Abbiamo un saccone da recupero davvero pesante, che ci dobbiamo parancare ad ogni sosta. Così inziamo ad alleggerirlo lasciando dei regalini per la cordata del giorno dopo alla fine di ogni tiro: un mazzetto di spit, un ciuffo di chiodi, un picozzino, qualche cordone da abbandono. Sorridiamo all’idea che dovranno trovare obbligatoriamente le nostre soste per procedere, prendendo parte a una vera e propria caccia al tesoro: le tracce della nostra salita infatti sono ben poche (gli spit sono radi..e le protezioni veloci per definizione si rimuovono!).

© Camilla Reggio

Verso sera abbiamo percorso ormai qualche centinaia di metri: dobbiamo lasciare un po’ di divertimento anche agli altri! Cami con un certo magone nel cuore lascia pure il suo beneamato trapano all’ultima sosta, fiduciosa che Marco ed Ale il giorno dopo troveranno la retta via, ma il pensiero di abbandonarlo la notte lì solo soletto a circa 250 m da terra turbava il suo animo. Iniziamo dunque le calate, e poche ore dopo il nostro glorioso rientro al bivacco.  Anche gli altri due tornano trionfanti, dopo la realizzazione della Via Pantagruel sulle Petites Jorasses, che è poi il nostro obiettivo del giorno dopo. Festeggiamo con le zuppe e il salame avanzato, scambiandoci foto, informazioni ed emozioni. C’è anche dell’ottimo vino, che una coppia ci ha gentilmente offerto, avendo scelto di portarlo fino al bivacco al posto dei ramponi.

Il giorno dopo ci invertiamo, come da accordi: abbiamo lasciato tutto il materiale in parete per Marco e Ale, che hanno l’oneroso compito di ultimare la via. Noi, ci avviamo verso le Petites Jorasses. Ė in arrivo una giornata faticosa, che merita un breve racconto: parte con Cami che fa precipitare il telefono sul ghiacciaio da 40 m di altezza, prosegue con continue perdite di rotta che ci portano a salire una via misteriosa senza tracce e senza soste (stiamo forse aprendo un’altra via?), solo qualche raro dado incastrato e cordone d’abbandono. Procediamo con la vana ricerca della via, e quando realizziamo che scendere da dove stiamo salendo sarà complesso decidiamo di effettuare alcune calate laboriose. Ritroviamo una sosta dopo parecchie ore, e siamo stanche: sopra di noi si erge però una bellissima fessura (è della via giusta!) e decidiamo di salirla. Dopo decidiamo di scendere, e quando Cami effettua l’ultima calata io ho la brillante idea di chiederle di legare i miei scarponi per poterli recuperare all’asciutto: quando li vedo rotolare per 30 m di ghiacciaio prima di riuscire a sollevarli, capisco di aver fatto un’emerita cavolata, e ne ho la conferma quando li incastro nella terminale del ghiacciaio: non vengono più su, e dopo epiche imprecazioni mi tocca calarmi nel crepaccio per recuperarli. Disfatte, ci avviamo verso il bivacco, dove ci rinfranchiamo con una merenda improvvisata; poi giù, iniziamo la discesa verso la Ferret, che culmina con Cami che sfonda un ponte di neve precipitando in un torrente (io la filmo invece di tuffarmi eroicamente a salvarla! ).

© Camilla Reggio

Esauste, giungiamo alla macchina: ci leviamo gli scarponi zuppi, e corriamo a recuperare due birrette per accogliere Marco e Ale, che speriamo tornino vittoriosi. Naturalmente non deludono le aspettative, e poco dopo giungono con un sorriso stampato e con ottime notizie: la via è terminata (il 28/06/24), e insieme brindiamo all’ottimo lavoro di squadra. Insieme decidiamo il nome della via e dopo le mille proposte e bizzarre idee scegliamo: Ave Jacki un inno alla perseveranza nel seguire i propri sogni, nel provare, cadere e rialzarsi. Un grido di battaglia a non demordere mai nonostante gli scivoloni che possono incorrere durante la vita spericolata di noi alpinisti.

Nota: la via è stata aperta due settimane prima del tragico incidente avvenuto sulla stessa montagna.

© Marco Cocito