Una nuova cima davanti agli occhi: il libro di unalpinista normale

La storia autentica di un alpinista “normale” che trasforma sfide personali e grandi cime in lezioni di vita e umanità.
Nicola Bonaiti

Nicola pensa sempre agli altri. Che sia sui pendii ecuadoregni del Cotopaxi, fra i ghiacci sferzati dai venti artici del Denali, su uno dei campi avanzati del Nanga Parbat, disteso sul letto a piangere sbirciando Rocca Pendice dalla finestra poco cambia. Un pensiero va sempre agli estemporanei compagni d’avventura, a Michela, la moglie, ad Alice, Anita e Bianca, le figlie, a papà Alfredo, alla mamma Vittoria e alla combricola pelosa che completa la famiglia.

 

Ma chi è Nicola? 

Stiamo parlando di Nicola Bonaiti, quello che noi che lo conosciamo prendiamo in giro bonariamente affermando che “non va mai in montagna, ma quando si muove fa un Ottomila”. Si stenta a crederci, ma lui fatica molto a definirsi alpinista (è serio eh!) eppure la sua collezione, parola che lui detesta, mette in fila una bella serie di cime, come il Lhotse, il Kilimanjaro, l’Elbrus, Cho Oyu, Muztagh Ata, Aconcagua, Pik Lenin e altre, oltre a quelle già citate nelle prime righe. No, non stiamo parlando di un grande alpinista di fama mondiale, ma di un alpinista “normale” e non professionista che vive sui Colli Euganei, nel padovano, ed è questa la cosa che spicca. Quel “Nicola pensa sempre agli altri” è una riflessione che nasce leggendo il suo libro “Una nuova cima davanti agli occhi” scritto per Idea Montagna Edizioni. Un libro anch’esso “normale” che non racconta avventure estreme (seppur ci sia il Nanga Parbat di mezzo), bensì un estratto di vita, di dubbi e di umanità che ci porta dentro alla montagna e ai problemi quotidiani dell’autore. Sembra di essere sempre con lui.

Procediamo con ordine. Il libro è nato in un momento in cui Nicola aveva del tempo libero e purtroppo non per scelta. Un’incomprensione di traiettorie, come, con la sua consueta gentilezza, lui definisce lo scontro fra la sua bicicletta e un’auto, ed eccolo in ospedale prima, e a casa immobile poi, con il bacino rotto e una serie di altre complicazioni da lui delineate come “secondarie”. Il tutto mentre stava preparando la spedizione in Pakistan al Nanga. 

 

La frattura è brutta, l’intervento sarà difficile… lei deve essere contento se tornerà a camminare come prima”. Sentenzia il chirurgo. Lo stesso giorno, in un sussulto di sensibilità, aggiungono a Michela: “suo marito sarà destinato a soffrire”.

 

Il libro è impostato in modo singolare, a ogni capitolo dedicato di volta in volta a uno dei 13 mesi di recupero fisico è abbinato il racconto-diario di una diversa spedizione. Più che un libro un’ancora di salvezza, così lo definisce l’autore. Ed eccoci quindi a viaggiare, fra un sorriso, una crisi, un dubbio, un urlo di liberazione e molte lacrime di felicità (e umanità vera) fra Equador, Argentina, Alaska, Kazakhstan, Tanzania, Russia, Nepal, Tagikistan, Kirghizstan e angoli di casa via via più lontani dal letto conquistati con esemplare esercizio di tenacia e ingegno per riuscire a farsi una doccia.

Mio, mio, io, mio” come i gabbiani di “Alla ricerca di Nemo”, questa è la moda che oramai impera sui social e non solo. Alpinisti, avventurieri (?), esploratori (?), recordman, scrittori, fotografi… ecco proprio a tutti coloro che accennano a descrivere Madre Natura parlando prima di sé stessi andrebbe regalato questo volume. Il narcisismo non coglie di certo Nicola, non narra mai di sé stesso in termini celebrativi, anzi, come già più volte sottolineato il suo pensiero è sempre rivolto al prossimo. Le montagne, in questo volume e nei documentari amatoriali che ha girato, ne escono sempre grandi protagoniste, l’uomo viene inserito ma con discrezione, con le dovute e corrette proporzioni.

Cotopaxi 2001, la rinuncia. Nicola e Michela al rifugio e coperti di ghiaccio dopo una notte di bufera © Foto archivio Nicola Bonaiti

Il selfie rovescio

C’è bisogno di scritti e di scrittori di montagna così, che ci riportino a essere umani, a dare alla prestazione il valore che merita, senza enfasi esagerate, dove tutto va preparato e vissuto sì ma senza ossessioni. È un po’ la logica del “selfie rovescio”, dove per raccontare la montagna sarebbe opportuno fotografarla togliendo o inserendo con discrezione i nostri bei faccioni o faccini che siano. Pensiamoci bene: se mi metto io di mezzo è un po’ come dire: “guarda dove sono, cosa ho conquistato… sono stato bravo? Io, io, io, io…”. Se giro l’obiettivo dalla parte opposta io ci sono (l’ho scattata la foto), ma ridò dignità all’ambiente che mi sta ospitando. Sarebbe forse opportuno, da parte di tutti noi, amanti dello stare in natura, ridare proprio a lei il ruolo principale e comprendere di come ne possiamo essere parte, non presunti e autoproclamati padroni.

 

La questione Nanga

Ma com’è andata a finire con il Nanga Parbat? Nicola ha recuperato oltre ogni speranza e previsione medica e, per egoistica fortuna (parole sue), si è infrapposta la ben nota pandemia che ha congelato i giochi. Il Pakistan è stato raggiunto nel 2022 da Nicola, Mario Vielmo e Tarcisio Bellò, ma la montagna ha detto “no”! No problem, nel 2023 finalmente l’agognata vetta è stata toccata e il tutto è raccontato, con il suo inconfondibile e accattivante stile, nelle pagine finali del libro.