Il rosa acceso delrododendro irsuto (Rhododendron hirsutum) ravviva la sommità del Monte Roén © Denis PerilliMeleti, tanti meleti, tutti belli ordinati ad adornare i morbidi pendii della trentina Val di Non. La mela, si sa, è divenuta il frutto simbolo di quest’ampia valle che raccoglie via via le acque dell’Ortles-Cevedale, dell’Adamello, della Presanella e delle Dolomiti di Brenta.
Vigne, anch’esse perfettamente allineate a voler disegnare un quadro naturale (e soprattutto funzionale) al cui le stagioni donano un susseguirsi di tonalità sempre e diversamente affascinanti. È questa la Val d’Adige, scavata e solcata da quel fiume che, nonostante io faccia sempre fatica a metabolizzarlo, è lo stesso che porta acqua a una decina di chilometri da casa mia, nella bassa pianura padovana.
A sorreggere i pendii di entrambi queste due depressioni vallive, con andamento nord-sud, si pone la Costiera della Mendola, una costola di vette poco appariscenti che, come spesso accade, in realtà sono degli scrigni di preziosità naturali e culturali di spessore. Sono montagne che superano di poco i duemila metri (2116 m al Monte Roén come quota massima) e che ricadono rocciose e con pilastri verticali a oriente, verso l’Adige, e con moderata pendenza, a occidente, fino al Torrente Noce.
Il giallo avvolgente del ranuncolo montano (Ranunculus montanus) © Denis Perilli
Il Sentiero Italia CAI vi ci giunge dopo aver cinto i pendii delle Maddalene, forse le montagne più selvagge e meno frequentate del Trentino-Alto Adige, e aver superato l’abitato di Fondo, fra le mele della Val di Non, e il valico stradale della Mendola. Ci esce poi calando verso Favogna, Roverè della Luna e infine Salorno, nel bel mezzo della spianata della Val d’Adige.
Molte sono le peculiarità che colpiscono il viandante, ma le fioriture di inizio estate sono senza dubbio il punto focale che rapirà le emozioni di chiunque abbia la fortuna di trovarsi, come si dice “nel posto giusto al momento giusto”.
Con un po’ di colpo d’occhio si può osservare il gradiente che ci porta, via via, dalle specie tipicamente alpine a quelle che abbisognano di un clima più mite, come le ginestre e i maggiociondoli che non mancano nei dintorni del Corno di Tres. Ben chiaro è quindi l’influsso e l’afflusso di correnti d’aria riscaldate dal tepore del Lago di Garda che mitigano il microclima dei pendii più meridionali della catena. Al contrario, la vetta del Monte Roén, raggiungibile con una consigliata deviazione dall’accogliente Rifugio Oltradige (su questa cima passava il vecchio percorso), è un “giardino” ricolmo di rododendri, specie tipica e rappresentativa delle praterie alpine. Qui il rosa acceso di queste fioriture domina, creando un quadro di bellezza suprema che ha come sfondo le lucenti e relativamente lontane vette del Latemar e del Catinaccio, nonché le scure rocce del Lagorai. È il preludio a quello che proporrà il Sentiero Italia CAI una volta oltrepassata la depressione valliva dell’Adige.
Veronica fruticosa (Veronica fruticans) © Denis Perilli
Risulta improbo stilare un elenco della varietà floristica di questo tratto del SICAI solitamente percorso in tre giorni, sta di fatto che qui è molto più probabile tenere lo sguardo verso il basso che verso l’orizzonte, cosa alquanto bizzarra in montagna.
Anche l’uomo, nei secoli, ha impresso dei segni importanti in questi luoghi, tenendo sempre un profilo “leggero”, che ben si sposa nell’armonia del contesto naturale. Molto piacevoli alla vista sono i masi più meridionali dell’Alto Adige, nonché le abitazioni provviste di meridiane del piccolo borgo di Favogna di Sotto. Irrinunciabile, anche per una meritata pausa contemplativa, una visita all’antica Chiesa di San Leonardo, menzionata per la prima volta già in un documento del 1337. A pochi metri si trova anche l’interessante Biotopo Lago di Favogna, una zona umida che offre una preziosa sosta alle innumerevoli specie ornitologiche di passaggio durante le migrazioni stagionali.
Ci si potrebbe dilungare parlando a lungo del Castello Ulmburg a Favogna di Sopra, del ritorno dei grandi carnivori, delle piantumazioni di pino silvestre che si mescolano al faggio nella discesa verso Roverè della Luna e di mille altre questioni, ma la cosa migliore da fare è calzare gli scarponi, infilarsi lo zaino in spalla e lasciarsi andare, gustando passo dopo passo ciò che questo straordinario territorio sa raccontare.
Scopri la tappa C07 del Sentiero Italia CAI dal Rifugio Oltradige a Favogna
Il Biotopo Lago di Favogna e la Chiesa di San Leonardo © Denis Perilli