Gli
uccelli migratori che sorvolano le
Alpi rispondono attivamente alle trasformazioni degli ambienti di nidificazione e di transito. I
cambiamenti climatici in atto rappresentano una delle principali cause di queste alterazioni, e influiscono non solo sul successo riproduttivo delle specie e sulla disponibilità di cibo, ma anche sui tempi e sui modi della migrazione.
Questo, in estrema sintesi, è quanto afferma
Paolo Pedrini, Conservatore responsabile in Zoologia dei Vertebrati del
Muse di Trento. Qui, Pedrini coordina il
Progetto Alpi, che dal 1997 vede impegnati il Muse e il Centro nazionale di inanellamento di
Ispra di Ozzano Emilia (BO), per comprendere le strategie di migrazione post-riproduttiva degli uccelli attraverso le Alpi.
La rotta migratoria italo-ispanica
Ad ispirare questo progetto, avviato nel 1997, sono stati gli studi svizzeri al Col de Bretholet, sul versante transalpino, e quelli più antichi di
Antonio Duse, il celebre ornitologo che negli anni Trenta per primo ipotizzò l’esistenza della
rotta migratoria italo-ispanica. Duse avviò i primi monitoraggi con la tecnica dell’
inanellamento nel primo osservatorio alpino al Passo di Spino nell’Alto Garda. La via percorsa dagli uccelli migratori segue il versante italiano delle Alpi, prosegue verso occidente, sorvolando la Francia meridionale, la Spagna e le Baleari, per dirigersi infine verso l’Africa. Il Progetto Alpi studia le popolazioni di uccelli che nidificano nell’Europa centrale e settentrionale per poi migrare, da agosto a novembre, verso ambienti più caldi in vista dell’inverno.
Un tordo sassello alla stazione di Bocca di Caset © Muse
Quindici stazioni alpine per monitorare e inanellare gli uccelli
«Negli anni hanno partecipato al progetto quaranta stazioni di monitoraggio, poste a quote diverse e in luoghi strategici per la migrazione, come i valichi alpini e le zone umide di fondovalle. Al 2021 sono attive quindici stazioni, che lavorano in maniera standardizzata e continuativa», spiega Pedrini. «Tutte seguono un protocollo preciso, basato sulla tecnica dell’inanellamento, su una serie di indicazioni sul come raccogliere i dati con modalità costanti nel tempo. Il protocollo non prevede l’uso di richiami o altre tecniche».
Gli uccelli vengono catturati grazie a
reti disposte in modo da intercettare il passaggio dei migratori. Gli operatori provvedono quindi alla “marcatura” degli individui mediante l’apposizione di un piccolo anello metallico sulla zampa, al rilievo di alcuni parametri biometrici e alla liberazione. Il tutto prestando sempre attenzione al benessere dell’animale. Da quel momento, il codice alfanumerico riportato sull’anello consentirà, in caso di ricattura, di identificare
in maniera univoca l’uccello e ricostruirne gli spostamenti.
Tramonto a Bocca di Caset © Muse
Valichi alpini e aree umide di fondovalle
«I valichi e i passi alpini rappresentano in molti casi delle scorciatoie, dove la migrazione si concentra. Un valico stretto, come quello di Bocca di Caset a Tremalzo in Val di Ledro, preceduto da un versante ripido, rappresenta un passaggio quasi obbligato per molti uccelli. Ed è proprio in contesti di questo tipo che si collocano le nostre stazioni e allestiamo le reti. Ma altrettanto importanti sono i siti di fondovalle, solitamente in aree umide e prative, importanti ambienti di sosta e ristoro per i migratori, soprattutto nelle giornate di maltempo. Il lavoro complessivo di queste stazioni ci garantisce il campionamento di un fenomeno particolarmente complesso come è la migrazione attraverso le Alpi. E si tratta di un campionamento che richiede un grande sforzo di analisi della ormai poderosa banca dati».
Pedrini sottolinea come, tra gli obiettivi del Progetto Alpi, ci sia quello di ottenere un quadro de
l valore ambientale dei diversi luoghi montani posti lungo le rotte migratorie: dalle praterie, ai valichi, dai boschi di versante alle alle zone agricole e umide di fondovalle.
Un merlo a Bocca di Caset © Muse
Ambiente e clima mutano i comportamenti migratori
Come si collegano queste migrazioni alla crisi climatica?
«Più rapido è il cambiamento del contesto ambientale, più veloce è la scomparsa di una certa popolazione da un dato territorio. Il declino del passaggio di certe specie sulle Alpi è stato quasi improvviso. Bisogna tenere conto anche delle condizioni meteorologiche violente che questi uccelli sempre più spesso devono affrontare nel sorvolo del mare e che in molti casi possono causare perdite importanti su intere popolazioni».
Pedrini fa qualche esempio.
«Storicamente, una specie comune a settembre era l’ortolano, piccolo Passeriforme tipicamente associato ad ambienti coltivati a cereali. Oggi ne catturiamo solo qualche esemplare all’anno. Altra specie è lo stiaccino, che dal 2000 ha segnato una diminuzione dei passaggi significativa, associabile al calo delle popolazioni nidificanti nel centro e nord Europa. La rondine, dal canto suo, si catturava molto a bassa quota. Tipica delle stazioni di palude nei fondovalle, dove sosta la sera nei canneti, è oggi sempre meno numerosa. Un calo che molti di noi notano anche nelle nostre popolazioni nidificanti vicino a casa».
Alcune specie però mostrano
incrementi, sono state favorite dai cambiamenti ambientali in atto.
«Ad esempio, trend positivi li hanno fatti registrare alcune specie tipiche degli ambienti forestali, come il fiorrancino, e quelle nidificanti in colture specializzate, come il merlo e il tordo, sempre più comuni anche nei nostri meleti. Accade anche però che, a causa di condizioni invernali meno rigide, alcune specie, soprattutto quelle tardo autunnali, non migrino più, oppure ritardino la migrazione. Per i fringuelli, ad esempio, abbiamo notato che l’inizio della migrazione si è spostato notevolmente in avanti».
Le reti di Bocca di Caset © Muse
La crisi climatica non è l’unica causa
A completamento di queste affermazioni, il ricercatore del Muse precisa:
«Il clima è sicuramente una delle cause dei mutamenti nel comportamento migratorio degli uccelli, ma non l’unica: i cambiamenti nell’uso del suolo, l’abbandono di molte aree montane, la scomparsa delle coltivazioni estensive e l’innalzamento della quota delle foreste concorrono in maniera altrettanto significativa a questo processo».
Bocca di Caset, attività con gli alunni delle scuole © Muse
L’importanza della divulgazione
Non solo ricerca, ma anche divulgazione. Il Muse, nell’ambito dei programmi di ricerca nelle stazioni di
Bocca di Caset e del
Passo del Broccon, in Trentino, organizza momenti di divulgazione e incontro con il pubblico. Qui vengono accolti visitatori, escursionisti famiglie e scolaresche.
«Mostriamo da vicino le tecniche di studio, le diverse specie che inanelliamo e raccontiamo curiosità sulla loro ecologia e biologia. Facciamo conoscere l’ambiente montano circostante e spieghiamo perché gli uccelli transitano in questi luoghi e la loro importanza, insegnando a leggere l’ambiente e il paesaggio con gli occhi del migratore. Inutile dire che, per i bambini, il momento più coinvolgente resta quello della liberazione degli uccelli appena inanellati. Si tratta di un’azione importante, perché non c’è ricerca senza divulgazione e viceversa».