L’Appennino, con le sue vallate, i suoi crinali e i borghi sospesi tra passato e futuro, è il protagonista assoluto di tre letture che ci accompagnano attraverso la storia e le storie che lo abitano. Dal giallo storico di Ascolta la paura di Daniele Cosentino, ambientato negli anni difficili del dopoguerra, alla ricostruzione dettagliata e appassionata della Guerra in Appennino di Stefano Ardito, che illumina gli eventi cruciali del biennio 1943-1945, fino all’epica contemporanea di Romanzo di crinale di Silvano Scaruffi, dove una comunità montana resiste all’assalto del progresso selvaggio.
Tre opere diverse per stile e narrazione, ma accomunate dalla volontà di raccontare un territorio ricco di memoria e resilienza, in cui la natura diventa teatro di fughe, battaglie e piccole-grandi rivoluzioni. Un viaggio attraverso le montagne che ci invita a riflettere sul passato per capire il presente e immaginare il futuro.
Daniele Cosentino, Ascolta la paura (pp. 264, 15 euro, Officine Gutenberg 2023)
L’esordio letterario di Cosentino è un romanzo di buon ritmo che si legge come un giallo e insegna come un libro di storia.
La vicenda si snoda nell’Appennino Settentrionale all’incrocio geografico tra Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna, prendendo le mosse da Varzi, un piccolo comune dell’Oltrepò Pavese, nella valle Staffora. È nei dintorni di Varzi, nel borgo di San Quirino, che vive il giovane Gavino Piaggi, gran lavoratore ma dal passato di ragazzo turbolento e attaccabrighe. Un giorno, senza apparente motivo, Gavino uccide un carabiniere: viene arrestato e poi duramente condannato, senza mai rivelare le ragioni del suo gesto, comunque inconsueto anche per lui, abituato a fare a botte. È orfano di entrambi i genitori, ma gli sono rimaste due persone: Pinèt, il fabbro che lo ha preso a bottega fin dai dodici anni, ex partigiano dalla fedina penale macchiata più per necessità che per vocazione criminale, e Nina, la cosiddetta strega del paese, che le dicerie vogliono capace di sortilegi e magie nere, oltre al fatto risaputo che aiuta le donne a far nascere i bambini. Sono loro ad aiutarlo a fuggire.
Il romanzo è impegnato per la maggior parte a seguire la fuga di Gavino a mezza costa attraverso i boschi dell’Appennino Pavese, passando per il Monte Ebro, il Carmo, infilandosi tra la val Boreca e la val Borbera, sui Colli Piacentini, giù verso Genova, nel gelo durissimo dell’inverno pieno di neve del gennaio 1952. Una fuga che bisogna aspettare l’ultima pagina a capire se riuscirà o meno, se la caccia all’uomo che si scatena contro di lui da parte dei Carabinieri avrà la meglio oppure no.
Quello che si intuisce fin da subito è che una storia che accade nel 1952 difficilmente può non essere collegata agli anni immediatamente precedenti. Ma come? L’affondo in alcuni episodi accaduti durante la guerra e in particolare fra il 1943 e il 1944 aprono uno scorcio sulla vita di Gavino, ma anche su quella di tanti come lui, bambini cresciuti senza tenerezze, sbattuti nel mezzo della vita senza salvagente, affacciati sulla crudeltà umana senza attenuanti. A quelli come Gavino non viene perdonato nulla, e difficilmente concessa una possibilità di redenzione.
Un romanzo che parla di “sommersi e salvati” sparsi per tutto il Paese, interrogandosi sul destino di chi sopravvisse non solo alla durezza materiale della guerra, ma anche allo sconvolgimento gerarchico del ventennio fascista e dovette trovare un nuovo equilibrio, soprattutto nei piccoli paesi, dove la gente si conosceva bene, e aveva saggiato la vera natura del proprio vicino di casa. Ricostruire fu un imperativo morale, ma non ebbe per tutti lo stesso costo.
Stefano Ardito, Guerra in Appennino. 1943-1945: lotta per la libertà (pp. 224, 19,60 euro, Corbaccio 2023)
Un lavoro molto approfondito sulla guerra condotta in Appennino, dove il conflitto si incrudelisce dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943, nel tentativo da parte delle truppe tedesche di impedire la risalita degli Alleati verso nord e la sconfitta definitiva del Nazismo. Furono al proposito costruite due linee di fortificazione: la Linea Gustav dall’Abruzzo al Molise e al Lazio, attraverso la Maiella e Cassino, e la Linea Gotica, che univa l’Adriatico al Tirreno passando dalle colline delle Marche e della Romagna, fino all’Appennino Tosco-Emiliano e le Apuane.
Della millenaria storia della “spina dorsale d’Italia”, Ardito ricostruisce in particolare il biennio 1943-‘45 che vide accadere gli eccidi più efferati, come quello di Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema, per citare i due episodi che fecero più morti, reazione senza proporzioni né militari, né umane alla Resistenza dei partigiani e alle azioni militari del Regio Esercito, che avevano come obiettivo generale quello di indebolire la Wehrmacht, aiutando la penetrazione degli Alleati da sud.
Ripercorrendo la storia nei luoghi in cui avvenne, borghi, crinali, boschi più o meno scoscesi dell’Appennino centro-settentrionale, là dove oggi le famiglie possono pianificare una tranquilla escursione domenicale, il giornalista romano scova aneddoti curiosi che arricchiscono la conoscenza di molti episodi che costellano la guerra di quegli anni, dando consistenza ai tantissimi protagonisti della “storia con la s minuscola” di cui sempre si fa la Storia con la maiuscola.
Leggiamo di Mussolini prigioniero in un albergo di Campo Imperatore, nel Gran Sasso, nel settembre 1943, ai cui piedi era arrivato in macchina, salendo poi in funivia il tratto finale: “un’ironia della storia”, la definisce Ardito, visto che proprio il Duce aveva fatto costruire quella strada nel più generale impulso turistico della “montagna di Roma”.
Leggiamo del quasi incontro fra Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica italiana, e John Hunt, futuro capospedizione della prima salita all’Everest nel 1953. Si trovarono infatti entrambi nella Maiella fra il ’43 e il ’44: il livornese Azeglio scappava dal campo di prigionia di Sulmona, mentre il britannico John era al comando di Casoli con le truppe inglesi. A Casoli dove Ettore Troilo e altri volontari abruzzesi fondarono la Brigata Maiella, e dove probabilmente proprio Hunt, ci dice Ardito, fu tra coloro che si spesero perché si vincesse la diffidenza che quegli italiani suscitavano nei suoi commilitoni, nonostante l’aperta adesione alle file della Resistenza.
E leggiamo di un altro curioso incrocio, avvenuto in terra di Ciociaria, dove Alberto Moravia, accusato di antifascismo, fu tenuto nascosto con la moglie Elsa Morante per sfuggire alla deportazione nei lager. Fu allora che scrisse La ciociara, una delle sue opere più famose ispirata alla vera storia di due donne sfollate anch’esse sui Monti Ausoni, ma destinate a peggior sorte, in particolare una di loro, vittima di un terribile stupro di gruppo come purtroppo ce ne furono parecchi in quella zona in particolare. L’opera fu terminata dopo la guerra, e poi portata al cinema nel 1960 grazie a Vittorio De Sica, anch’egli originario della Ciociaria: per l’interpretazione, Sofia Loren ci vinse l’Oscar nel ’62.
Lasciamo il resto alla curiosità di chi vorrà cimentarsi con la lettura di un’opera storica scritta come un romanzo, e fruibile dunque con facilità.
Silvano Scaruffi, Romanzo di crinale (pp. 144, 15 euro, Neo Edizioni 2024)
Ecco un’opera intrisa di Appennino: perché l’autore vive a Ligonchio, 800 anime sull’Appennino Reggiano, dove fa il guardiadiga, perché la storia è ambientata in Appennino, una zona remota che si fa simbolo di ogni entroterra montano aggrappato al barlume della restanza, e perché l’editore, attivo dal 2008, ha sede a Castel di Sangro (L’Aquila), alle porte del Parco Nazionale d’Abruzzo e Molise.
In estrema sintesi, la vicenda narra il tentativo di esproprio dei territori di una remota zona di montagna da parte di una grossa società che vi vorrebbe costruire un Parko. E non importa nemmeno cosa sia di preciso questo Parko, è sicuramente un progetto destinato a snaturare, sventrare, cancellare, dirottare altrove la vita che nei secoli si è lì depositata, proliferando con le sue tradizioni attraverso le generazioni. Di quelle generazioni sono messi in scena alcuni protagonisti: “strambi figuri” come Bunga che va in giro con un verme dentro un vaso di vetro dicendo che quello è il capostipite della famiglia. Brasco che tiene il bar. Romma e Burasca che del bar sono frequentatori assidui. Viola che ha sposato Ginasio e la Flora dei Verduga che osserva sempre Ginasio dormire sotto un ciliegio mentre sogna il futuro. E Bestio, che sottoterra ci abita, e vede. Dialoghi al limite del surreale, fra personaggi improbabili, che non per questo meritano di essere obliterati dal sedicente progresso. Il gergo scanzonato, a tratti esilarante, esalta la resistenza che metteranno in atto per opporsi al sopruso, diventando loro malgrado eroi di un’epica balzana, a tratti feroce, che li porterà al riscatto finale. Senza bisogno di passare dalla retorica: basta solo lasciarsi andare alla scrittura irriverente e ruvida di Scaruffi, “strolgatore di bagaiate”.