Transcardus: Mosetti e Bessega raccontano il loro docufilm. "Raccontare il selvaggio rischia di trasformarlo in ciò che lo distrugge"

Il fuori traccia attraverso il Kosovo di Transcardus. Due parole con Enrico Mosetti e Elisa Bessega, autori del cortometraggio da tutto esaurito.
Un momento della traversata © Elisa Bessega

Hanno attraversato con le pelli di foca le montagne del Kosovo meridionale da Ovest a Est, “inventando una traccia, senza lasciare traccia” e lo hanno raccontato come un viaggio, in un cortometraggio che sta mietendo il tutto esaurito dall’Ovest all’Est delle Alpi. Transcardus, il film nato da un’idea di Enrico Mosetti, guida alpina e sciatore del ripido, con la regia e le riprese della fotografa Elisa Bessega, e il sostegno di Ferrino, dopo Torino, Milano, Trento e Udine, verrà presentato a Cortina (20 dicembre), Bovec (29 dicembre), Tarvisio (30 dicembre), Prevalije (9 gennaio) e altre date sono in lavorazione.

L’inedita traversata di ottanta chilometri, realizzata nel marzo 2024 in sei giorni - cinque effettivi sulle pelli - da Mosetti e Bessega assieme a Lorenzo Barutta, che ha curato riprese e montaggio, e ad un quarto componente, lo snowboarder Matteo Sarto, viene raccontata in venti minuti scanditi con ritmo e leggerezza da musiche che richiamano sonorità balcaniche in perfetta fusione con lo scorrere delle immagini.

Il gruppo di amici si muove tra i villaggi e sulla linea di confine della catena kosovara dei Monti Šar o Shar, che tocca a Sud Est l’Albania e a Sud Ovest la Macedonia, con rilievi che vanno dai circa 2400 ai circa 2750 della cima più alta, la Tito Vrv (intitolata proprio al leader jugoslavo). Il nome latino della catena era anticamente Scardus, da cui il titolo del film, che nella locandina è stato trasposto con un font speciale, il Balkan Sans, che fonde cirillico e latino. “Volevo scrivere - così la Bessega - il titolo in cirillico, ma questo non sarebbe stato gradito, perché in Kosovo, viene percepito come la lingua dell’invasore. Il font è stato inventato proprio con lo scopo di depoliticizzare e riconciliare due culture diverse, in una reciproca tolleranza. Ed è stato apprezzato”. Un modo “artistico” e bello per superare il “conflitto congelato” che ancora impregna queste terre, come dimostra il recente sabotaggio dell’acquedotto a Zubin Potok (1 dicembre 2024).

 

Enrico, come sono nate l’idea del viaggio e del film?

L’idea della traversata è maturata negli anni che ho trascorso in Albania dal 2019. Avevo percorso alcune tappe singole su queste montagne e poi ho pensato di realizzarla in continuità. Il film poteva essere un bel modo per raccontarla.

 

Perché da ovest a est e non il contrario?

A Est la catena finisce brutalmente con il Monte Luboten, che ha lato il nord verso il Kosovo, il lato sud sulla Macedonia e a est solo colline: mi piaceva finire con la montagna più bella della catena, come culmine della traversata.

 

Questa tua proiezione/propensione verso i Balcani, che è anche un est di confini travagliati, pensi abbia delle radici profonde nel tuo essere nato in una zona di confine (Mosetti è goriziano, ndr)?

Forse sì. Fin da piccolo ho passato l’infanzia un po’ di qua e un po’ di là, avendo qualche parente in Slovenia. Sono sempre andato più nelle Alpi Giulie slovene che in quelle italiane e ad arrampicare in Croazia e in Bosnia: sono più di dieci anni che viaggio nei Balcani.

 

Cosa ti piace dell’ambiente e dello spirito balcanico?

Mi piace il loro modo di fare, più rilassato, meno frenetico, anche nell’approccio alla montagna. E poi il potenziale del territorio è enorme, sia per l’arrampicata che per lo sci. In giro per le montagne c’è ancora pochissima gente, anche se rispetto a dieci anni fa ce ne è di più.

Un momento della traversata © Elisa Bessega

 

Elisa, a proposito di poca gente, vi siete posti degli scrupoli sul se e come divulgare questo progetto, perché?

Ultimamente si parla giustamente molto di Overtourism e dell’impatto del turismo di massa sul territorio per le conseguenze di una promozione fatta non tanto in base a piani precisi ma spesso lasciata nelle mani di influencer che monetizzano il racconto di un luogo senza preoccuparsi se è pronto ad accogliere la frequentazione di massa. Chi crea o racconta qualcosa ha una certa responsabilità nel farlo, soprattutto se si tratta di un territorio ancora poco esplorato/ battuto. Se racconti un luogo “selvaggio” rischi di trasformarlo in ciò che lo trasfigura, basti vedere Selvaggio Blu, per fare un esempio famoso, o le Pozze Smeraldine in Friuli Venezia Giulia.

 

Questo comunque non è un viaggio per tutti, presuppone studio, capacità di orientamento, fatica, pazienza ed esperienza: e non è detto che si ottenga il risultato. Anche per questo avete deciso di non lasciare indicazioni precise sull’itinerario seguito?

Sì e no. Non è una traversata difficile però servono delle abilità che forse per lo scialpinista comune vanno sviluppate: devi imparare a cercare il tuo percorso e valutare autonomamente come muoverti. Sulle Alpi anche le discese più estreme sono documentate e spiegate nei dettagli, con video che mostrano tutto. Certamente la parte di esplorazione e avventura è un trend che sta ritornando di moda e per questo cavalcare troppo la dicitura del selvaggio, può essere un rischio.