Un momento del talk con Festi, Della Bordella, Mantovani e Mondinelli © G. SassiÈ in corso da ieri e per tutto il fine settimana a Genova il forum internazionale Rescue in difficult environment, dedicato al soccorso in ambienti critici, con addetti ai lavori ed esperti del settore. Alle esercitazioni pratiche si alternano lezioni e confronti, nell'ottica di rinsaldare il legame tra medicina e montagna.
Ieri sera si è tenuto il talk Tra montagna e medicina: la sfida dell'estremo, moderato dal professore Luigi Festi, con la partecipazione del medico oncologo Alberto Mantovani, gli alpinisti Matteo Della Bordella e Silvio Mondinelli, alla presenza del presidente del CAI Antonio Montani e del vice presidente Giacomo Benedetti.
“Conquistare una cima è utile nella misura in cui ti porta a impegnarti”
Fin dai primi minuti, Festi porta la conversazione nel vivo dell'argomento, facendosi “aiutare” niente meno che da Lionel Terray. “Conquistare le montagne è davvero inutile?”. Matteo Della Bordella parla di sacrifici per ottenere un risultato: il senso non è nella cima, ma nell'impegno personale. “Anche se di fronte a chi fa un mestiere come il medico, soprattutto in contesti di grande sofferenza, ci rendiamo conto che siamo dei privilegiati. Noi possiamo vivere in una bolla dove esercitiamo le nostre passioni e dobbiamo sempre guardare a chi fa qualcosa per gli altri”. Per estensione, raggiungere la cima significa riuscire a compiere pienamente il proprio ruolo. “E non credo si possa dire agli alpinisti che fanno qualcosa di inutile, mentre i medici no – aggiunge Festi- ognuno ha la propria sfida, che spesso è personale, altre volte diventa qualcosa di condiviso”. Aggiunge Mantovani: “Non credo che l'alpinismo sia inutile. Faccio un esempio che solo apparentemente può sembrare scollegato dal tema. Recentemente siamo andati dall'altra parte del mondo per studiare gli anticorpi dei camelidi. È qualcosa che può sembrare largamente inutile e invece poi si trovano delle applicazioni che servono anche all'uomo. Questo per dire che anche l'alpinismo può essere utile, in una società che ha bisogno di cultura, di allargare gli orizzonti rispetto allo stretto necessario”.
“Dobbiamo rdurre i rischi perché siamo liberi solo nel momento in cui evitiamo di essere in balia del mondo esterno”
Ci si avvicina poi al tema medico. “Quanto e quando è giusto rischiare, dove finisce il rischio e inizia il pericolo?”. Mondinelli. “Abbiamo un livello in montagna sopra il quale rischiamo, è inutile girarci intorno, ma credo che la preparazione sia fondamentale per affrontare i rischi nel modo migliore”. Della Bordella è sulla stessa lunghezza d'onda. “L'approccio di prevenzione e preparazione è qualcosa su cui insisto molto, perché noi abbiamo il dovere di intervenire per minimizzare i rischi. Solo così si può essere liberi, solo una volta che abbiamo fatto la nostra parte per evitare di essere in balia del mondo esterno”.
Il talk incrocia anche i temi di più stretta attualità del dibattito alpinistico. Festi: “Noi in medicina abbiamo una protezione al rischio, che si chiama etica. Ci dice fin dove possiamo dare beneficio al paziente, ci pone un limite. Cos'è l'etica in alpinismo? È lecito usare lo xenon per andare in cima all'Everest in una settimana? Tra l'altro in uno scenario in cui non ci sono protocolli, prescrizioni mediche”. Della Bordella. “Premesso che non ho mai fatto alta quota e non mi permetto di dare giudizi, mi sembra la goccia di un trend che punta ad arrivare dappertutto”. Mondinelli prova a relativizzare la questione, in modo da inquadrarla meglio. “Io mi sono sempre drogato con il formaggio dello zio Tullio [la sala ride]. Non ci ordina nessuno di fare gli Ottomila, ma io ne ho viste di tutte i colori. Un anno ho visto un coreano fare la via Messner al Nanga Parbat, si era fatto di litio. Io non ho mai usato niente, ma tante volte sono tornato a casa piangendo perché non ero riuscito. Ma poi fermiamoci un attimo: pensiamo a chi non è tornato a casa...no le polverine non servono, le cose importanti sono altre”.
“Umiltà è sapere che c'è sempre una discesa dopo la salita”
Cos'è l'umiltà? Ecco un altro tema da novanta che Festi introduce nella seconda metà dell'incontro. Prova egli stesso a dare una risposta. “Ritengo che sta nel ricordarsi che c'è sempre una discesa dopo la salita, un decorso dopo una operazione”. Mantovani sottolinea l'importanza di allargare l'esperienza oltre l'individuo. “Ci vuole umiltà nei confronti della sofferenza, di chi ci ha preceduto come medici e di sapere sempre che se hai ottenuto qualcosa, dietro c'è un gruppo”. E allora Festi non può che domandare a Della Bordella cos'è un team in montagna, chiedendogli di parlare del CAI Eagle Team. “Il team è riuscire a fare qualcosa che non riusciresti da solo. Stare insieme non è la somma delle capacità, è molto di più. In montagna ti leghi con persone con cui magari non spartiresti nulla, ma lì succede qualcosa di magico, scatta una scintilla che è la vera magia del gruppo”. Mondinelli. “Una volta il capo spedizione decideva tutto, da quanto pesa lo zaino a chi andava dove, ma poi i risultati arrivavano e non arrivavano, poco in relazione allo sforzo prodotto. Ora lo si è capito, le cose per fortuna sono cambiate”.
La chiusura è sul cambiamento climatico, come influirà sull'alpinismo? Della Bordella: “L'elemento più evidente è che la stagionalità è cambiata e noi alpinisti siamo le vedette di questi cambiamenti. Noi li vediamo prima, per esempio la fusione dei ghiacciai. Non è che vediamo il futuro, ma la nostra posizione ci permette di toccare le cose con mano un po' prima. Noi già da dieci anni vediamo quello che sta succedendo, per chi vive in città è più difficile rendersene conto nel quotidiano”.