Il terremoto che questa mattina ha scosso il Tibet e fatto tremare il Nepal ci riporta con forza a dieci anni fa, al 25 aprile 2015, quando un sisma devastante di magnitudo 7,8 sconvolse l’Himalaya. Quel giorno il Nepal pagò un prezzo altissimo: oltre 9000 morti, città rase al suolo e un patrimonio culturale unico ridotto in macerie, tra cui alcuni dei templi e delle piazze patrimonio dell’UNESCO a Kathmandu.
Tra le immagini che più rimangono a noi appassionati di montagna, la valanga che spazzò via il campo base dell’Everest, uccidendo 22 persone e lasciando decine di feriti. La tragedia più grave mai registrata sulle più alta montagna al mondo. Una tragedia che colpì al cuore la comunità alpinistica. Ma il dramma non si fermò lì: nella valle del Langtang, furono le vite di quattro italiani a spezzarsi – Oskar Piazza, Gigliola Mancinelli, Renzo Benedetti e Marco Pojer – travolti dalle frane provocate dal sisma.
Il terremoto del 2015 non fu solo un disastro naturale, ma anche un banco di prova per la resilienza del Nepal. L’intervento di soccorso internazionale, che coinvolse decine di Paesi e organizzazioni umanitarie, fu fondamentale per alleviare le sofferenze delle popolazioni colpite e per avviare la ricostruzione. Tuttavia, gli effetti del sisma continuano a essere visibili: molte comunità remote stanno ancora lottando per ricostruire case e infrastrutture, e il Nepal affronta sfide economiche aggravate dalla vulnerabilità sismica della regione.