Nel 1985 due giovani alpinisti inglesi, Joe Simpson (Brendan Mackey) e Simon Yates (Nicolas Aaron), intrapresero un viaggio sulle Ande peruviane. Dopo due giorni di cammino gli alpinisti lasciarono Hawking, un giovane viaggiatore incontrato durante il viaggio, al campo base e partirono alla conquista della cima del Siula Grande. La parete ovest non era mai stata scalata prima; alta ventunomila piedi, appariva come una grande salita di ghiaccio. Dopo tre giorni intensi arrivarono in cima. Cominciò allora la complessa discesa. Simpson cadde e si ferì ad una gamba: esternamente non vi era versamento di sangue nonostante la presenza di un rilevante ematoma interno. Continuarono il tragitto legati ad un unico cordino spesso otto millimetri; Simpson scivolò in un crepaccio e Yates capì che l’unica possibilità di salvarsi era quella di tagliare la corda che li teneva uniti, e così fece. Simpson sparì nel crepaccio.
Touching the Void – La morte sospesa
Joe Simpson © copyright Film Festival TrentoCon grande fatica Yates, solo, riuscì a tornare al campo base. Dopo una settimana, quando ormai i compagni avevano perso la speranza di rivedere l’alpinista, questi miracolosamente riapparve. In questo, il dramma della sopravvivenza di Simpson, l’angosciante decisione e il rimorso di Yates emergono in tutta la loro crudezza. Docufiction. Esempio superlativo di come raccontare una vicenda legata alla montagna, superare le rigide strutture del documentario, farla così divenire un vero film, innovandone il linguaggio e rendendo il racconto vivo e senza mediazioni. Le interviste a Joe Simpson e Simon Yates divengono parte integrante della struttura narrante e si amalgamano con estremo rigore con l’interpretazione di Brendan Mackey e Nicolas Aaron. La tensione nella ricostruzione cinematografica dell’accaduto è di una efficacia assoluta così come la straordinaria capacità interpretativa degli attori: primissimi piani degli occhi che valgono mille parole, visi contratti dalla fatica e dal dolore che esprimono disperazione, la certezza della morte che sta per arrivare … L’intensità dei volti dei protagonisti è superba: la frenetica ridda di pensieri, la voglia di trovare comunque una via di uscita, la forza di volontà e l’adrenalina che fa superare dolore e angoscia. Il layout della sceneggiatura di Touching the Void si alterna in un continuo divenire di chiuso/aperto, interpreti/protagonisti, crepaccio/ghiacciaio, buio/luce, mente/corpo, rendendo le sensazioni visive concrete e palpabili. Il commento del film, sia nelle interviste che nella voce off, è “vero”, senza eroismi, senza glorie, senza alcun compiacimento. La lentezza di alcune scene riesce a dare l’esatta essenza del tempo che sembra non trascorrere mai. Incubi, allucinazioni e rimorsi assumono, nello sviluppo delle sequenze filmiche, l’intensità delle variazioni del blu/azzurro che illuminano l’interno del crepaccio. Un film da non perdere.
Un fotogramma del film "Touching The Void" © copyright Film Festival Trento