Sulle tracce di Toni Gobbi

Intervista al nipote Oliviero: il docufilm dedicato al nonno, le scoperte e le sorprese di una figura troppo spesso rimasta in ombra
Toni Gobbi © Archivio Gobbi

Un’infilata di emozioni traspaiono nelle testimonianze di chi si racconta in La Traccia di Toni, il docu-film che va alla scoperta della figura di Toni Gobbi. Lo fa attraverso documenti, carte, pellicole super 8, interviste scritti e ricordi. Ricordi di chi lo ha conosciuto, di chi ha condiviso la fatica della montagna e seguito le sue curve, con fiducia e ammirazione. 

Figura complessa e misteriosa, quella di Toni Gobbi. Alpinista e guida alpina, di lui si è sempre parlato poco. Anche in famiglia, ci rivela il nipote Oliviero, si è sempre parlato poco del nonno Toni. «Era un argomento quasi tabù in famiglia, non se ne parlava mai, nonostante in casa della nonna ci fossero ancora tutti gli oggetti, i vestiti e i documenti del nonno. Erano inaccessibili, quasi cristallizzati nel tempo».

Controluce invernale © Archivio Gobbi

Di quel nonno, in casa, aleggiava un’aura particolare. Come se in qualche modo fosse ancora presente, con il suo carisma e con la sua anima. Un’anima di cittadino e di montanaro, di imprenditore e di alpinista. Di lui il nipote conservava un ricordo “pubblico”. Sapeva delle sue scalate, delle vie aperte prima della guerra e poi di quelle realizzazioni sulle Alpi occidentali, dove al tempo si misuravano alcuni dei migliori, dove Toni Gobbi era venuto da Vicenza per vivere di montagna. Ecco allora che si disegnavano nei ricordi quei monumenti dell’alpinismo con cui Oliviero è cresciuto. L’Aiguille Noire de Peuterey, nel 1949 (prima invernale), la parete della Brenva (Via Major, prima invernale), nel 1953, la prima ascensione del Grand Pilier d'Angle, nel 1957. E poi le Ande patagoniche, la Groenlandia e il successo sul Gasherbrum IV, nel 1958. Cime e pareti a cui si affiancano nomi di primordine come Walter Bonatti, Carlo Mauri, Guido Monzino, Riccardo Cassin. Erano i compagni di cordata del nonno Toni. 

Oltre a questo poco altro. Chi era l’uomo, il padre, il marito Toni Gobbi? La traccia di Toni insegue il suo ricordo attraverso le persone che l’hanno conosciuto. È il viaggio personale di Oliviero Gobbi, produttore e anche un po’ autore di questa storia, trasposto su pellicola dal regista Antonio Bocola. «Un vero artista, che ha accettato di lavorare in maniera artigianale, snella» dando vita a un lungometraggio che restituisce il ritratto umano di un protagonista della montagna del Novecento. Un ritratto che va oltre la guida alpina e l’alpinista, raccontando quel pezzo di Italia del dopoguerra, quella del boom economico e dei sogni di rivincita. Una rivincita svanita nel nulla con il roboante suono di una slavina, che alle pendici del Sassopiatto si è portata via la guida Toni e tre dei suoi clienti. La sua morte, lo racconta il film, fu vissuta come impossibile. “È morto Gobbi?” Si chiesero i suoi amici. Non poteva essere. Poi, con il tempo, quella domanda rimase nell’aria. La risposta stava in quella traccia senza fine che lentamente si dissolveva al vento, come la memoria di quest’uomo che seppe fare della guida alpina un mestiere.

Toni e Romilda Gobb © Archivio Gobbi

Oliviero, come nasce l’idea di un film su tuo nonno Toni Gobbi?

Tutto inizia da un bambino curioso, che nei primi anni Ottanta vuole conoscere la storia del nonno che non ha mai conosciuto e che non c’è più, ma che percepisce essere stato importante e famoso. Ma, appunto, in famiglia la storia di Toni Gobbi è sempre stata un tabù. Così, per molti anni, ho dimenticato questa storia. Almeno fino alla scomparsa della nonna Romilda, nel 2008. Con la sua morte, in famiglia abbiamo iniziato a mettere ordine in tutto quello che era rimasto di Toni, ma senza particolare fretta, né ordine, né obiettivo. Solo dopo il Covid ho capito che avremmo potuto utilizzare tutti quei documenti per scrivere e raccontare la storia di Toni. Inizialmente l’idea era quella di un paio di articoli, poi con le molte testimonianze che siamo riusciti a raccogliere, di chi aveva conosciuto Toni, è nata l’ambizione di un film.

Come è cambiata la visione di tuo nonno dopo questo lavoro di ricerca?

La mia visione è cambiata tantissimo. Oggi penso di essere il massimo esperto sull’argomento, non solo per ragioni di sangue. Ho studiato tanto, letto tutti i suoi scritti, guardato le foto, visto i filmati d’epoca e ascoltato i ricordi. Prima conoscevo la data di nascita e quella di morte. Sapevo che era stato un alpinista di un certo livello, sapevo della sua salita al Grand Pilier d'Angle con Bonatti e anche della partecipazione alla spedizione al Gasherbrum IV. Poi, poco altro. Sapevo che era un uomo di città, trasferitosi in montagna, ma non sapevo quanto era stata importante l’innovazione che lui ha portato nel mestiere di guida.

Toni Gobbi con gli sci sul Monte Rosa © Archivio Gobbi

Qual è stata la sua innovazione a questo mestiere?

Se non è la primissima, Toni Gobbi è sicuramente una delle prime guide italiane di provenienza cittadina. In quegli anni, in Italia, si contavano poche centinaia di guide, un mestiere praticato prettamente nel periodo estivo, circa due mesi l’anno. Toni ebbe l’intuizione di cercare di allargare il lavoro della guida a tutte le stagioni. E ci riuscì grazie al suo approccio imprenditoriale al lavoro, recitando un mantra che oggi può sembrare banale, ma che al tempo non lo era di certo: il cliente va cercato, non atteso passivamente, e va poi sviluppato nel tempo. Non solo accompagnamento: deve essere la guida a proporre esperienze nuove. Un approccio dirompente in un mondo alpino in cui la maggioranza delle guide si limita ad aspettare che un cliente si presenti in ufficio.

Pensi che sia rimasto qualcosa di suo nella tua famiglia?

Nella famiglia rivedo le due anime di Toni: quella cittadina, colta, di un uomo che aveva studiato; e il grande amore per la montagna. In famiglia si è sempre trasmesso il valore dello studio, della cultura. Dall’altra parte abbiamo anche coltivato la passione per la montagna. Mio padre in primis ha fatto questo lavoro per molti anni, prima continuando la gestione del negozio del nonno, poi con Grivel.

La guida alpina Toni Gobbi © Archivio Gobbi

Quanto tempo ti ha richiesto la realizzazione del docu-film?

Direi abbastanza, anche se ci ho lavorato nei ritagli di tempo. Io faccio un altro mestiere. A questo progetto ho dedicato energie per lo studio e le ricerche, poi di coordinamento. All’inizio avevo in mente di scrivere, poi è nata l’idea del documentario. Tirando le somme è servito quasi un anno di lavoro per arrivare a vedere La traccia di Toni.

Al termine del lavoro di ricerca quali sono stati gli aspetti di Toni Gobbi che ti hanno maggiormente colpito?

Attraverso le testimonianze raccolte sono emersi alcuni caratteri comuni, che mi hanno aiutato a comprendere quale fosse la visione di mio nonno. Voleva fare del mestiere di guida un mestiere completo, che si potesse fare tutto l’anno, anche fuori piazza. Mi ha stupito e colpito la sua organizzazione. Nel corso delle ricerche mi sono imbattuto in uno scritto in cui Toni afferma di essere un alpinista medio, ma che grazie all’allenamento e alla preparazione riesce a fare cose importanti. Questo approccio mi è sembrato “di famiglia” e mi ci sono ritrovato in pieno. Io mi sono laureato in fisica con 110 e lode, ma non perché fossi un genio. Ci sono riuscito grazie al metodo, allo studio e all’impegno.

Toni spiega la sua traccia a un convegno © Archivio Gobbi

Di Toni Gobbi si è sempre detto che avesse un carattere duro e autoritario, hai ritrovato questa caratteristica?

Tutte le persone che abbiamo incontrato hanno parlato di una persona con un carattere forte e deciso. Ma hanno anche raccontato di un uomo che sapeva stare al mondo e come adattarsi alle varie situazioni. Toni Gobbi ha saputo, da cittadino, portare le sue idee a Courmayeur, con garbo, facendosi apprezzare. Mi ha molto colpito la relazione che aveva con le persone, con i suoi due principali collaboratori Renato Petigax e Mario Senoner. Due montanari, semplici, con cui non si è mai messo su un piedistallo. Toni aveva una grande stima e fiducia nei loro confronti, un riconoscimento che emerge ancora oggi, dai racconti dei due a 50 anni dalla scomparsa di Toni.

Prima hai parlato dell’amore per la montagna di Toni Gobbi, che si ritrova nella tua famiglia. Qual è allora il legare tra Oliviero Gobbi e la montagna?

È un legame che non è sempre esistito. Io ho iniziato ad andare in montagna nel 2007, quando mi sono trasferito in Valle d’Aosta da Milano. A scalare ho iniziato solo nel 2013-2014. La voglia è nata frequentando questo ambiente e lavorandoci. Occupandomi della produzione e commercializzazione di prodotti per l’alpinismo mi è sembrato naturale provarli. Poi, pian piano, è nata la passione.  L’alpinismo mi appassiona perché mi porta fuori dalla mia zona di comfort. Imparare a gestire situazioni di paura, di rischio e anche di forte stanchezza fisica, mi dà una grande carica che a posteriori si rivela utile anche nel quotidiano. 

Toni con Walter Bonatti © Archivio Gobbi

Hai Compiuto un percorso inverso rispetto a quello di Toni, dalla montagna alla pianura. Ma alla fine sei tornato in montagna…

Sono andato a Milano per studiare, ed ero sicuro che mai e poi mai avrei fatto questo mestiere. Il mondo della montagna non mi appassionava e mi sentivo più cittadino che montanaro, così ero contento di allontanarmi dalla montagna. La città è stata una parte importante della mia vita, poi ho capito che l’azienda di famiglia, un’azienda storica, aveva un valore e che poteva avere un senso cercare di portarla avanti, con obiettivi a medio e lungo termine.  Così sono tornato e sono soddisfatto di averlo fatto, perché me la sono sudata, ma alla fine ho trovato la mia dimensione e un senso a quello che faccio e a come lo faccio. E questo progetto su mio nonno Toni è stato di grande aiuto per connettere dei puntini. Mi ha permesso di unire in un unico grande progetto la tradizione, il lavoro che faccio e il mondo della montagna.

Ritornando a tuo nonno, quale pensi sia oggi la tua traccia e quale vorresti lasciare?

Innanzitutto, lasciatemi dire che spero di avere ancora molte pagine da scrivere! Sicuramente la traccia che vorrei lasciare è legata al mio modo di vedere e vivere il mondo della montagna.

La locandina di La Traccia di Toni