Storie di vie. La via Cassin alla Torre Costanza in Grignetta

La Torre Costanza è forse il torrione più bello e più imponente di tutta la Grignetta. La sua importanza alpinistica è notevole e tutte le vie aperte sulle sue pareti sono difficili e in alcuni casi estreme sia per quanto riguarda l'arrampicata libera che quella artificiale.
La prima salita appartiene ad Angelo Vassalli e J.A. Sprangher nel 1914 lungo il camino al centro della parete nord. La parete sud della Torre Costanza è incisa da un caratteristico camino strapiombante di colore nerastro. Lungo questo camino si snoda un piccolo capolavoro alpinistico aperto il 2 luglio del 1934 da Riccardo Cassin, Antonio Piloni e Domenico Lazzeri.

La Torre Costanza con la Via Cassin © Luca Galbiati - Archivio Sassbaloss

Cassin nel libro Capocordata (CDA-Vivalda, 2001) scrive:

La Torre Costanza è il più imponente monolito della Grignetta e si erge fra le innumerevoli cuspidi della Val Tesa. Benché secondo la definizione ufficiale la si dica "Torre", la si chiama al maschile "Il Costanza": ed è davvero una maschia e solenne architettura, ridotta alle linee essenziali, un poderoso mastio arrotondato, privo di angoli veri e propri, robusto ma non tozzo, reso ardito dalla liscia compattezza delle pareti. Il Costanza fu scalato per la prima volta nel 1914 da Angelo Vassalli e da J.A. Sprangher per il versante settentrionale, lungo la cosiddetta via dei Camini, un terzo grado superiore. E' naturalmente la via più facile, ma erano altri tempi.
E' una calda domenica di metà giugno. Antonio Piloni, Domenico Lazzeri ed io siamo al colletto tra il Fiamma e il Costanza. Con due corde di cinquanta metri e una staffa. La strapiombante parete sud del Costanza non è mai stata percorsa. Una ferma decisione ci anima: la lotta sarà ardua, lo sappiamo, ma ad ogni costo vogliamo riuscire. Sarà una via di sesto grado, la nostra, e ancora oggi è valutata fra le più impegnative della Grigna. [...].
Fatico parecchio a salire: ogni volta che voglio andare oltre, allungandomi verso un appiglio, sento che il volo è vicino e ripiego sulla posizione primitiva. Piloni collabora manovrando ora l'una ora l'altra corda e, in qualche passaggio, anche la staffa mi è d'aiuto. Così approdo su uno spiazzo piano di circa due metri quadrati che rientra nel corpo vivo della Torre. Quale graditissima sorpresa! Il pianerottolo è interamente ricoperto d'erba, tanto fitta e nutrita che, seduti, sembra di stare su un materasso. "Salite che facciamo un pisolino" grido agli amici. [...]. La sosta ristoratrice è provvidenziale: ciò che sta dietro di noi è stato difficile, ma quel che ci attende è ancora più arduo. [...]. So che dovrò raddoppiare gli sforzi, perciò tronco ogni indugio e passo all'attacco. [...]. La pendenza è tale che se qualche sasso cade non colpisce gli amici, ma fila dritto fino alla base della parete. Dal pianerottolo dove essi sostano al posto in cui mi trovo saranno quindici metri d'altezza, e la parete strapiomba di oltre sei. [...].

Torre Costanza - Via Cassin - Luca Galbiati sul quinto tiro © Matteo Bertolotti - Archivio Sassbaloss

Questa via è stata esclusa dal lavoro di sistemazione dei vari itinerari che ha interessato tutta la Grignetta nel 2000 e tutte le protezioni presenti (soste comprese) sono su vecchi chiodi. Il camino è spesso bagnato e umido e ciò ha fatto sì che le protezioni presenti siano da verificare prima di essere rinviate. La prima salita in libera appartiene ad Ivan Guerini che la realizzò con Giorgio Burò il 24 settembre del 1977.

Riportiamo qualche passo scritto da Ivan Guerini e pubblicato sulla monografia ALP Ritratti #2 (Vivalda Editori, 2008) dedicata a Cassin:

La Torre Costanza è la struttura della Grignetta più scomoda e faticosa da raggiungere. L'altezza delle sue pareti, inconsueta per le guglie lecchesi, e la concentrazione di itinerari impegnativi la rendono anche la più severa. La Cassin sulla parete sud supera un muro giallo e repulsivo lungo una fessura strapiombante annerita dall'acqua piovana.
Visibile a grande distanza è un itinerario faticoso.
Nella seconda metà degli anni '70, con l'affermarsi dell'idea di salire in libera gli itinerari tradizionalmente superati in artificiale, la Cassin era una via più temuta che ambita: a me capitò di salirla in libera senza avere il tempo di considerare tale la mia scalata.
Ricordo che, la sera prima, i fratelli Valerio e Giorgio Burò (forse sperando di vedermi coinvolto in qualche fallimento...) mi guardarono con celestiale provocazione dicendomi: "Perché non andiamo a fare la Cassin alla Costanza?". Senza riflettere sulla disomogeneità della nostra cordata, risposi sì.
Il giorno seguente, dal parcheggio dei Resinelli, guardando la torre pensai che quella parete non dovette sembrare particolarmente repulsiva ai primi salitori, se è vero che partirono baldanzosi all'idea di affrontarla.
Una volta alla base, pensando di essere sulla via giusta, salii sparato lungo la Bonatti. Dopo tre tiri friabili che mi riempirono gli occhi di finissimo calcare sfaldato, mi accorsi che il fessurone aggettante dalla Cassin non era sopra di noi, ma a destra. Così decidemmo di calarci dalla sosta pericolante a cui eravamo appesi. Tornati a terra, i quattro occhi celesti dei due fratelli mi guardarono... come a dire che per quel giorno poteva bastare, dopo le ore piccole della sera prima. La loro richiesta mi parve il frutto d'una debolezza deplorevole, un vero e proprio affronto alla mia furiosa necessità di arrampicare. Con l'aria di uno che non si stava per niente sacrificando, Valerio disse: "andate su voi, che in due farete più in fretta". Toccò così a Giorgio, sarcastico e cinghialesco, il compito di frenarmi le corde sul facile e di lasciarmele scorrere nei punti più difficili. Ma lui, rispetto a Valerio, aveva meno dimestichezza con le manovre richieste da quel tipo di salita. Giungemmo nella nicchia alla base del fessurone strapiombante, uno degli angoli della Grignetta in cui fa fresco anche d'estate. Sopra di noi c'era una specie di vano contorto d'ascensore, con chiodoni distanziati che si allontanavano verso l'alto. Gli arrampicatori dicevano che, su quei ferracci, si ruotava sulle staffe ora a destra e ora a sinistra. Mi sarei ricordato di quel camino due anni dopo, sulla fessura aggettante della Costantini-Apollonio al Pilastro di Rozes.
Non c'è che dire: la parete strapiombava. Ma in quel periodo io amavo la scalata in camino: affascinato dalle fatiche granitiche, avevo la sensazione di uscire dal piacere brutale di una delirante oppressione. Quello che gli psicologi dell'alpinismo attribuivano ad un radicato masochismo, per me era la naturale curiosità di rapportarmi alla fisicità degli ostacoli.
Pensando a Giorgio, piazzai una staffa di fettuccia nel punto in cui il camino si strozza a cappa. Tuttavia la necessità di salirci sopra, ruotando nel vuoto per raggiungere il chiodone successivo, mi parve evitabile, dato che le posizioni che assumevo nel camino mi permettevano sia di progredire strisciando sia di stare fermo. Così cominciai a scivolare verso l'alto contorcendomi, con arresti affannosi, fino alla sosta successiva. Quando Giorgio mi raggiunse, gli dissi entusiasta: "Hai visto? sono salito senza tirarmi e senza riposarmi sui chiodi". E lui: "L'hai detto tu: io dal basso non riuscivo a vederti bene".
Il ricordo di quella via è custodito in una diapositiva che ritrae i miei piedi nudi, appena liberati da pedule così strette da aver aumentato di molto le difficoltà di quella parete dolomitica miniaturizzata nelle prealpi da un sortilegio dell'orogenesi. Oggi sorrido se penso che valutai la via di VII quando invece, a distanza di anni, fu ritenuta quasi di VIII...
Alessandro Gogna, nell'articolo "La torre di Babele" uscito sulla Rivista della Montagna, ne parlò come un passo in avanti ma, come vedremo alla fine, lo fu solo parzialmente.

Torre Costanza - Via Cassin - Matteo Bertolotti sul quinto tiro © Luca Galbiati - Archivio Sassbaloss