Foto Mauro Palumbo.Sarà pure un gioco di parole, ma la speleologia è di fatto un’attività di nicchia: “A praticarla siamo circa 5000, di cui solo un 20% frequenta con costanza una grotta”, afferma Giuseppe Priolo, presidente della Commissione Centrale per la Speleologia e il Torrentismo del CAI, che insieme alla Scuola Nazionale di Speleologia, diretta da Donato Pupillo, ha lavorato a fondo per pubblicare il nuovo Manuale di Speleologia (pp. 512, 40 euro, CAI Edizioni 2024), disponibile in tutte le librerie e su CAI Store. “Abbiamo integralmente riscritto la maggior parte dei capitoli, perché negli anni è cambiato il modo di presentare gli argomenti, e ovviamente sono cambiati i mezzi tecnologici. Anche la grafica andava svecchiata”. A questo proposito, il manuale è il primo della nuova linea che prevede un formato da 19 x 22,5 centimetri, copertina patinata opaca e morbida, e interni lucidi a colori, che lo rende un oggetto esteticamente gradevole e anche più maneggevole. Altri sono in preparazione per il 2025. Nel più ampio progetto di rinnovo del comparto editoriale, la collana dei Manuali del CAI ha l’ambizione di porsi come lo scrigno delle conoscenze tecniche del Club Alpino Italiano e delle sue Scuole, racchiuse in volumi che ne rappresentano l’autorevolezza, ponendosi come punto di riferimento a livello nazionale per la conoscenza delle singole attività in ambiente montano.
Sono pochi, dunque, gli speleologi, eppure, sembrano molti gli esperti in materia, in questi giorni di apprensione per Ottavia Piana, speleologa del CAI di Lovere, che con molta difficoltà il Soccorso Alpino e Speleologico ha portato in salvo, dopo l’incidente avvenuto durante l’esplorazione dell’abisso Bueno Fonteno, un sistema di grotte e gallerie sotterranee tra la val Cavallina e il Lago d’Iseo, in provincia di Bergamo.
“Conosco personalmente Ottavia Piana, è una nostra speleologa molto attenta e in gamba”, dice Priolo, “ma nel nostro mondo l’incidente può capitare a chiunque, anche ai più esperti”. I soccorsi a speleologi che hanno incidenti dentro le grotte sono pochissimi, contro le migliaia che invece avvengono in superficie, dichiara, ma fanno notizia proprio perché richiedono molte ore (famoso quello alla grotta Riesending in Baviera, che nel 2014 richiese 12 giorni per tirare fuori il tedesco Johann Westhauser, è la vicenda narrata nel film “SOS Baviera”). E quindi come sempre, in queste situazioni, la prudenza di chi commenta non è mai abbastanza: “L’incidente è avvenuto per il cedimento di un appiglio, come succede nel 90% dei casi. Ci siamo passati tutti, una spalla o un piede lo abbiamo lasciato sotto la roccia. Sarebbe meglio che chi parla di qualcosa l’abbia prima provata. A prestare soccorso a titolo di volontariato sono altri speleologi che confidano che in futuro, a ruoli inversi, saranno soccorsi alla stessa maniera, in caso di bisogno. C’è un forte senso di comunità fra di noi”.
La copertina del nuovo manuale di speleologia.Il nuovo volume può essere dunque l’occasione per documentarsi: “Il manuale di Speleologia si pone come un contenitore di informazioni che non si vuole sostituire a un libro universitario, ha un chiaro approccio pratico tipico del manuale, ma tratta moltissimi argomenti, come si capisce dalla mole del volume” prosegue Priolo. “Si parte da aspetti storici, archeologici, antropologici, geologici, fino a quelli più divulgativi come il capitolo sulle riprese e la fotografia in grotta, ma senza entrare negli aspetti più tecnici tipici degli studi accademici. L’intento è quello di offrire stimoli per approfondire: il manuale è uno strumento per chi vuole approcciare la speleologia tramite la didattica CAI, e offre una panoramica a 360 gradi su tutto ciò che le gira intorno”.
Quanto alla presenza di un’approfondita parte storica (e non a caso in copertina è riportata una citazione di Leonardo da Vinci), Priolo spiega così: “In tutti i nostri corsi CAI di introduzione alla speleologia ci sono cenni storici che risalgono addirittura ai re assiri. Anton Giulio degli Amodei, detto il Filoteo, descrive grotte alla fine del ‘400 che noi poi abbiamo esplorato e mappato oggi trovandole come lui le aveva raccontate. C’è un forte vincolo tra il passato e il presente. Chi non ricorda il passato è perché non lo ha vissuto. Quindi chi vive il presente deve raccontarlo per trasmetterlo a chi viene dopo”.
Cosa spinge una persona a infilarsi in un cunicolo buio e stretto sottoterra? “L’esplorazione in grotta fa emergere emozioni forti, porta conoscenza e quindi la risposta è sempre la voglia di esplorare dell’uomo. Oggi non possiamo più esplorare come fecero Cristoforo Colombo o il Duca degli Abruzzi, ma le grotte restano uno dei pochi modi che ci consentono di farlo ancora”.
Bisogna aggiungere che nelle cavità sottoterra sono molte le scoperte naturalistiche che si possono ancora fare, non è solo una questione di vezzo personale, per non parlare degli studi idrogeologici. “Dal ritrovamento di alcune grotte si sono capiti i meccanismi di evoluzione di alcune forme primarie di vita, infatti diversi laboratori sono stati allestiti lì. Delle nuove specie scoperte ogni anno un buon numero si trova in grotta. Quindi andarci non rappresenta solo l’esigenza di “vedere il buco”, ma anche quella di raccontare e studiare cosa si trova là dentro. Per questo ci sono capitoli sulla bio-speleologia e sulla tassonomia”.
Mancano invece approfondimenti sulla tecnica: “È stata una scelta, perché quella si può apprendere solo frequentando un corso”. Basta contattare la Sezione CAI di zona o direttamente la Scuola Nazionale di Speleologia, che ha un calendario annuale organizzato su diversi livelli, e comprende anche fondamenti di primo soccorso: “Non siamo sprovveduti, lo sappiamo che se succede qualcosa i primi a potere aiutare sono i nostri compagni. Quasi tutti i titolati, in una percentuale del 70% circa, hanno seguito un corso BLSD (Basic Life Support - Early Defibrillation (DAE), per dare il primo supporto a chi ha problemi cardiaci, NdR), grazie al sostegno economico della sede centrale e in collaborazione con varie associazioni, dalla Croce Rossa all’Anpas. Sappiamo che dove siamo noi non arriva l’ambulanza o l’elicottero col verricello. Per questo con la Commissione Centrale Medica fin dall’anno scorso abbiamo approntato degli opuscoli da mettere in tasca, che spiegano come preparare il kit di primo soccorso, o come affrontare la sindrome da sospensione inerte o l’ipotermia. Abbiamo l’esigenza di informare e informarci”.
Foto Serena Nicoletti.