Spedizione K2, la "macchina della verità" a Bolzano

Il TerraXcube ha permesso ai ricercatori di rilevare valori fisici a una quota simulata di 5mila metri. Vinetti: "Rispetto agli uomini ci possono essere condizioni di partenza meno vantaggiose, ma il corpo della donna ha grandi capaictà adattive"

A settant’anni dalla prima salita, quattro alpiniste italiane e quattro pakistane tenteranno di raggiungere la vetta del K2 per lo Sperone Abruzzi. La spedizione è partita due giorni fa (il 16 giugno) come potete leggere nell'articolo pubblicato qui. L’iniziativa del Club Alpino Italiano ha coinvolto l'Eurac Research - l’istituto per la medicina di emergenza in montagna- come partner scientifico. Nelle settimane prima della partenza, Federica Mingolla, Silvia Loreggian, Anna Torretta, Samina Baig, Amina Bano, Nadeema Sahar, Samana Rahim si sono sottoposte a una serie di test preliminari al simulatore di ambienti estremi TerraXcube, dove faranno ritorno una volta conclusa la loro avventura. Obiettivo della ricerca: studiare la fisiologia femminile prima e dopo l’esposizione all’alta quota. È una iniziativa particolarmente importante, perché attualmente non ci sono dati di genere, mentre sulla condizione maschile sono già stati effettuati degli studi. Giovanni Vinetti per Eurac è il responsabile organizzativo della ricerca, ideata dal direttore Giacomo Strapazzon. «Già in passato abbiamo lavorato con diversi alpinisti – spiega Vinetti-. Famosi come Moro e Lunger, ma anche meno noti, per studi con un taglio per la popolazione generale. Abbiamo fatto ricerche sia sulla popolazione sana che su casi patologici, proprio perché l'indirizzo era quello di una ricerca a vantaggio di tutti».

Silvia Loreggian durante un test © Eurac Research - Andrea De Giovanni


Cosa si intende per alta quota?
Bisogna distinguere: 2500 metri è la quota utile per vedere gli effetti utili su soggetti non allenati, è quella che viene indicata generalmente quando se ne parla. Ma per i nostri scopi la quota utile è almeno 3000 metri. Più la persona è abituata alla quota, più bisogna alzarsi. Nel caso di questa spedizione è 5000 metri, la stessa del campo base del K2. Si stima che sopra i 5500 metri non ci possa essere un adattamento completo.


Perché sopra i 5500 metri non si può recuperare completamente?
L'adattamento ventilatorio ed ematologico non può essere completato. Difatti non abbiamo notizia di insediamenti permanenti oltre quella quota, anche perché vengono a mancare condizioni imprescindibili come il cibo e la possibilità di garantire un ambiente adatto alla riproduzione, intesa come prosecuzione della specie.


Nella cosiddetta zona della morte c'è semplicemente un ulteriore aggravamento delle difficoltà di recupero o intervengono fattori diversi?
Sopra i 7000-8000 metri nessun adattamento è possibile, l'esposizione è troppo acuta. Il senso dell'acclimatamento è che all'aumentare della quota bisogna incrementare la concentrazione di emoglobina. Se immaginiamo l'emoglobina come una scatola, a quota mare è piena al 100%. Alzando la quota il riempimento sarà per esempio del 70%, per cui bisogna aumentare il numero dei cassetti. Ma più ci si alza, più il corpo deve ventilare per portare aria nuova, che ovviamente è quella che si trova in quota, meno carica di ossigeno. Ma per ventilare di più si usano maggiormente i muscoli, che consumano ossigeno. È un cane che si morde la coda. Oltre una certa quota uso l'ossigeno o per camminare, o per respirare. È il motivo per cui si va in debito.


I dati sulle alpiniste saranno registrati anche durante le salite?
No, non riusciamo a registrare nulla a quote estreme, per questo le vogliamo rivedere entro venti giorni dal raggiungimento della vetta, quando ancora i valori saranno significativi. I rilevamenti già fatti invece (tra gli altri ecografie e spirometria oltre a test cognitivi, ndr) sono stati effettuati tra il 20 e il 23 maggio. L'acclimatamento era già incominciato prima del 16 giugno, ma in maniera intermittente, mentre al campo base avranno oltre un mese per prepararsi.


La ricerca non intende indagare le cause delle malattie d'alta quota.
No, ci interessa piuttosto comprendere meglio i vari meccanismi di adattamento, respiratori, di circolazione, ma anche gli adattamenti cellulari e molecolari, di cui sappiamo poco. Sappiamo per esempio che un globulo rosso vive tre mesi, ma non sappiamo in quanto tempo le cellule tornano alla condizione di partenza. Non vogliamo sapere in quali condizioni si può sviluppare un edema polmonare, ma piuttosto come l'alta quota influisce su coscienza e movimento.


Avete rilevato differenze tra atlete italiane e pachistane?
I dati non sono stati ancora del tutto analizzati, ma si può dire che dal punto di vista etnico, i soggetti che provengono dall'Asia generalmente hanno volumi polmonari diversi, più piccoli rispetto all'Europa Centrale. In questo caso però, rapportati all'altezza delle alpiniste, non abbiamo riscontrato questa disparità, che può essere imputabile alla genetica. Una predisposizione che forse si può spiegare con la discendenza o con le aree di provenienza.


Tra le italiane sono emerse disparità?
La differenza di età è un fattore che incide a livello del mare: lì l'anzianità è un fattore negativo, ma a quote estreme tutto viene messo in discussione. Quando siamo sull'Everest siamo più o meno tutti uguali, perché interviene anche il fattore cardiaco. Le donne in menopausa poi non hanno il problema delle perdite mestruali e sono più protette. Ci sono diversi aspetti che si intersecano.

Rilevamenti su Cristina Piolini © Eurac Research - Andrea De Giovanni


Tra uomini e donne che differenze vi aspettate, se sono attese?
Le donne hanno volumi polmonari minori e limitazioni ad aumentare la massima ventilazione e in più potrebbero avere carenze di ferro, essere svantaggiate sotto questo punto di vista. Ma la struttura fisica, il metabolismo, le risposte adattive pesano molto. Gli ormoni, che modificano la parte cognitiva, la regolazione dell'ossigenazione cerebrale, influiscono molto e generalmente la risposta è migliore nelle donne. 


Semplificando al limite della battuta, si può dire che le donne sono svantaggiate in partenza, ma “funzionano” meglio?
In un certo senso sì. In generale, lo vedo anche come medico dello sport, le donne hanno meno patologie cardiovascolari, anche se poi in quel caso intervengono fattori culturali, legati al fatto che gli uomini ancora oggi fanno più sport delle donne. Ma sul funzionamento nel lungo periodo, le donne dispongono di una macchina più protetta dai rischi, più efficiente.

Guarda il video realizzato durante i Test medico-scientifici presso Eurac Research, Bolzano