Soltanto d'estate: il paradosso dello spopolamento nel romanzo di Emiliano Cribari

La storia di un padre che cerca una casa in affitto nell'Appennino Tosco-Romagnolo svela dinamiche e contraddizioni dell'abbandono delle aree interne. Ne parliamo con l'autore.
Il bosco invade le case disabitate in Appennino. Foto Emiliano Cribari.

Un diario in forma di racconto, una poesia in prosa, una fotografia in parole: il primo romanzo di Emiliano Cribari non potrebbe assomigliare di più al suo autore. Si intitola Soltanto d’estate. Un viaggio tra case aate, perse e dimenticate (pp. 166, 16 euro, Bottega Errante Editore 2025) e parla di un’esperienza vera: la ricerca da parte di un padre di una piccola casa in affitto, per sé e il figlio adolescente. Nulla di particolare, se non fosse per lo scenario: le aree interne dell’Appennino Tosco-Romagnolo. Una zona che Cribari ben conosce, per averla tante volte percorsa da guida ambientale escursionistica, con le camminate letterarie, il progetto che unisce due passioni inscindibili: “Questi luoghi per me sono casa, perché sono vicini e perché sono quelli di Dino Campana, il poeta che ha dato il via a tanti miei cammini. Io esploro sempre con gli scrittori, e quindi le Alpi con Antonia Pozzi, le Langhe con Fenoglio e Pavese, l’Appennino con Campana”.

Le difficoltà reali che Cribari mette in luce in questo romanzo non sono altro che la messa in narrativa (quasi un case study in salsa letteraria), di quanto denunciato nel saggio Contro i borghi, pubblicato dall’Associazione Riabitare l’Italia: lo spopolamento non si contrasta con l’estetica e con interventi posticci che nulla hanno a che fare con la specificità dei luoghi. Sembra un paradosso, infatti, ma trovare qualcuno che affitti una delle centinaia di case disabitate che costellano i boschi appenninici è un’impresa. Perché non conviene, perché è fonte di problemi, perché costa. Lo spopolamento è il risultato di un crocevia di fattori complessi.

Se non altro ci si può godere una lettura piacevole al di là della denuncia che esprime e dei temi che solleva, grazie a uno stile ironico e poetico, potentemente musicale, che alleggerisce l’argomento. “Poesia non è solo quando vai a capo”, dice Cribari, “I generi sono come dei vestiti, è il modo in cui li indossi a fare la differenza”. Mettiamoci in cammino con lui: “Ora è tempo di far risuonare la terra con piede libero”, scrisse Orazio.

Cribari sarà sabato 1° marzo alla Stazione Leopolda di Firenze, dove si tiene l’annuale salone dell’editoria Testo (come si diventa un libro). Per gli appuntamenti successivi basterà tenere d’occhio il suo canale Instagram.

La copertina del libro

Emiliano Cribari, cosa succede “soltanto d’estate”?

Succede che “soltanto d’estate” i paesi di cui si parla vengono ripopolati, ma non riabitati, che è una cosa molto diversa, perché riabitare vuol dire fare comunità, e tornare a concetti importanti come la gratuità, la clemenza, un modo umano di vivere un luogo e non un modo per forza perfetto. 

 

Anche tu sei “contro i borghi”?

Pensare ai paesi come luoghi di perfezione ha portato al folklore e a un’idealizzazione che non tiene conto della loro complessità, e anche della durezza del vivere lì. A ripopolarli non basta parlarne un paio di settimane d’estate, mentre vengono strozzati da un turismo fuori controllo. Come a Roccaraso, come sull’Etna. O dalle mie parti, dove si passa da 20 persone a 500 tutte insieme, con conseguenti problemi di mancanza di acqua e abbondanza di immondizia. Persone che si portano dietro il loro vissuto cittadino.

 

Cerco non una seconda casa ma una casa vera” scrivi: com’è nato il libro?

Per tre anni ho cercato quella casa, e ogni sera mi stupivo delle situazioni tragicomiche che mi ritrovavo a vivere, così ho iniziato a scriverle. Disavventure che parlano di tubi, di caldaie, piccoli accadimenti che a inventarli non si sarebbe riuscito. Dopo una cinquantina di pagine ho pensato che forse avrei potuto condividere l’esperienza con qualcun altro. Questa del resto è la mia penna: io non sono uno scrittore “vero” che si mette seduto 8 ore, non ho scaletta, né una giornata tipo. Io scrivo con le scarpe, cioè vado in giro e faccio dei reportage confinanti con la poesia, osservo e racconto spero con umanità. Avevo già fatto un esperimento letterario di questo tipo con I diari del libraio errante (2023), dedicato alla mia esperienza di un paio d’anni a girare per i paesi dell’Appennino con una bancarella di libri che parlavano di cammino. 

 

Sono davvero in conflitto cittadini e montanari?

Non c’è nulla di male a essere cittadino, io vivo in Mugello in un paesone, non ho mai abitato in una grande città, ma non amo le etichette, e sono fiero di “contenere moltitudini”, come diceva Whitman. Il montanaro non ha per forza la camicia a quadri e la barba, come il cittadino non è per forza il fighetto. Tutto è permeato dal nostro modo di vivere: l’essere cittadini si porta inevitabilmente dietro una serie di posture che non sono proprie di luoghi che città non sono. L’Appennino Toscano è abitato perlopiù da stranieri che per prima cosa chiedono wi-fi, condizionatori e piscina. Ma l’Appennino l’acqua non l’ha mai vista! Don Milani fece scavare con le mani ai ragazzi la piscina di Barbiana (minuscolo borgo sperduto sui monti intorno a Firenze, NdR), per insegnare loro a nuotare e aiutarli a superare l’atavica paura dei montanari per l’acqua. Ma questo non si sa più. E forse le case non costerebbero un euro, sapendo quanta gente ci è nata, ci è morta, ci ha vissuto, si è innamorata, il valore non potrebbe essere un euro (l’iniziativa lanciata da alcuni comuni italiani per contrastare lo spopolamento, NdR)… Solo a conoscere la storia dei luoghi e a rispettarli, anziché a stuprarli…

 

Stuprare i luoghi è un’espressione forte.

Io accetto la trasformazione dei luoghi, anche noi siamo sempre in cambiamento, ma come esistono i centri anti-violenza per le donne, dovrebbero esistere anche per i luoghi, che certo turismo stupra da 20 anni con la sua ignoranza.

Cribari durante una delle tante perlustrazioni appenniniche. Foto dell'autore.

Hai mai vissuto in uno di questi paesini piccolissimi dove nel libro cerchi casa?

Ho fatto varie esperienze appenniniche, anche se resto uno sradicato che cerca il silenzio nei luoghi a margine. A Casaglia, frazione di Borgo San Lorenzo, per esempio, sull’Appennino Tosco-Romagnolo, dove vivevamo in 28, ma che è una comunità forte con un circolo tuttora vivo. Siamo riusciti a fare riaprire la biblioteca grazie al lavoro di tante persone e ai proventi di un diario che ho tenuto per raccontare le giornate di vento e di solitudine, di amicizie profonde, di buio che scende subito e di albe che non arrivano mai… Lo abbiamo stampato da soli e lo abbiamo messo in vendita solo al Circolo: caffè dopo caffè, con l’aiuto del tam tam dei social, abbiamo raccolto i fondi necessari e oggi, anche con la collaborazione di tante altre realtà circostanti, abbiamo un servizio di prestito autogestito che si sta cercando di replicare anche altrove. Abbiamo affermato la nostra idea di turismo, che non è solo negativo.

 

Anche gli scrittori possono fare la loro parte? 

In realtà in qualche paese non sono ben accetto perché mi si dice che parlare di spopolamento allontana i turisti, e che le mie fotografie in bianco e nero danno un senso di tristezza. Per questo ho modificato i nomi dei luoghi, per tutelare loro e me stesso. Qualcuno dice che sono cambiato: ma non si può stare sempre chiusi in una stanza, altrimenti il messaggio non circola. In ogni caso penso che la scrittura debba essere oggi più che mai militante e che sia importante anche cambiare il modo di raccontare, soprattutto ai ragazzi, eliminando la distanza, adottando uno stile più fisico, più ritmato.

 

Ma perché affittare una casa in Appennino è così difficile? 

Fra le risposte più gettonate che ho ricevuto c’era il “mi conviene di più affittare per poche settimane ai turisti”, sottintendendo piuttosto che tutto l’anno a qualcuno che poi potrebbe anche creare dei problemi: se si rompe un tubo d’estate al turista non interessa, tanto poi se ne va. Poi c’è un’altra questione, legata alle leggi dello stato, che qualcuno ha esplicitato con cattiveria inaudita: “E chi lo sfratta più uno con un minorenne?” mi han detto. Come se il minorenne fosse un problema e non un’opportunità. Io penso che una piccola luce in una casa di notte in mezzo al bosco, o un camino acceso d’inverno diano vita e conforto a un luogo molto più di un turista occasionale. L’altro giorno in Lunigiana in 30 km ho incontrato una sola persona. Una sola, su centinaia di case. Non si dà vita a un paese riempiendolo di opere d’arte, come va di moda ora: vita è un bambino che corre dietro a un pallone. Invece l’Appennino si è sempre più privatizzato, è proprio cambiato il modo di vivere.

 

Come mai?

Prima di tutto c’è un fattore economico: nella maggior parte dei casi si tratta di case terribilmente fatiscenti che richiedono interventi strutturali importanti per essere rese vivibili d’inverno, servono soldi e non sempre ci sono o li si vuole trovare. L’altro tema è che spesso dietro a una casa ci sono molti fratelli o cugini che è complicato mettere d’accordo. E poi secondo me c’è il tema culturale: non si comprende fino in fondo la portata del problema. 

 

Qual è il vero rischio dello spopolamento?

Una montagna spopolata non significa solo dispersione di memoria, storia e radici, ma diventa improvvisamente minacciosa perché non c’è più chi cura i boschi che irregimentano le piogge e quando arriva l’acqua poi viene tutto giù. Non si può dare tutta la colpa alla pioggia torrenziale. 

 

C’è un rimedio, secondo te?

Ci sono tanti esempi virtuosi, di circoli che restano aperti nonostante tutto, ma per me bisogna smettere di fare i conti e iniziare a tenere aperta una scuola o a far passare una corriera tre volte al giorno anche se per un alunno solo, perché ci sono i fondi per farlo (penso al PNRR o a qualunque altra forma di finanziamento). Un single o anche una giovane coppia che si trasferisce in montagna lavorando col wi-fi non bastano a fare ripartire l’esperienza comunitaria, bisogna essere in tanti. Se chiude tutto, anche il benzinaio, il fornaio, come si fa? È un circolo vizioso che si autorigenera, perché non aiuta chi cerca alternative. Ne Il libro dei vinti Nuto Revelli intervista un signore che dice: “Ai nostri tempi ci volevano due ore per andare al lavoro al mattino e due ore a tornare, oggi c’è l’asfalto ma non ci sono le persone”.

 

La gente è rassegnata?

Magari, almeno sarebbe l’occasione per aprire un dialogo in cui affrontare temi veri in maniera aperta, fino a cambiare opinione se serve, perché nessuno ha la verità in tasca. Invece quando mi è capitato di parlare con i politici ho visto tanta aggressività, e posizioni difensive. 

 

Hai accennato ai ragazzi prima: insieme a te nel romanzo protagonista è tuo figlio Lorenzo, di 15 anni. 

Al di là dell’argomento montagna, il venerdì sera è pieno di padri separati coi figli al ristorante, chiusi sui loro cellulari. L’educazione parte dalla famiglia e io non ho troppa fiducia, perché c’è molta ignoranza. Poi c’è la scuola, che versa in condizioni disastrose. Bisogna smettere di demonizzare i ragazzi senza nemmeno provare a capirli: tanti parlano di quanto sia difficile essere genitori oggi, ma penso che sia peggio essere ragazzi.

 

L’anno scorso al Trento Film Festival hai presentato un podcast sul tuo amico Francesco Nuti, e con un altro dedicato alla Madonna dei Fossi di Rufina (Firenze) hai vinto il concorso del FAI intitolato “Narrate, o gente, la vostra terra”. Ripeterai l’esperienza?

È stato bellissimo, farei solo podcast, io giro sempre con un registratore per raccogliere le testimonianze delle persone. Mi sento a mio agio a fare audio-documentari, perché ho un buon rapporto con la mia voce, ma non con la mia immagine. Però al momento non ho altro in cantiere.

 

E invece libri?

Ho già pronto un libro fotografico, e un altro in omaggio alle mie origini calabresi: sono partito dalle fotografie di mio nonno, che però faceva il falegname, per ricostruire dei ricordi legati alla mia terra, e alle persone che ci vivono. In fondo io di base sono un fotografo che scrive. Se non riuscirò a pubblicarlo leggerò le mie pagine in giro per le piazze la prossima estate, insieme a un bravo musicista. Parlerò di spopolamento al ritmo della musica elettronica.

Istantanee dell'abbandono. Foto Emiliano Cribari.