Simone Salvagnin, quando la passione per i viaggi e l'arrampicata supera la malattia

L'esploratore di Schio ha iniziato a perdere la vista a 13 anni, ma ha continuato a inseguire i suoi sogni. "Nella scalata il grado non conta, è importante capire cosa ci mette in difficoltà perché le risposte sono lì".
Simone durante la traversata dell'Islanda © S. Salvagnin

Simone Salvagnin è nato nel 1984 a Schio e dall’età di dieci anni ha iniziato a soffrire di una grave malattia degenerativa: la retinite pigmentosa, che lo ha reso, progressivamente, quasi del tutto incapace di vedere. La sua nuova condizione non lo ha però fermato e ha continuato a coltivare le proprie passioni. Anzi, Simone si è impegnato ancora di più per trovare la sua via in un mondo completamente nuovo. Limitante sì, ma con difficoltà superabili grazie a una grande capacità di adattamento.

 

L'evoluzione della malattia è stata lunga, circa 14 anni. In qualche modo per te è stato un periodo di preparazione?
Dal centro dell'occhio la malattia ha attaccato i recettori e ho perso progressivamente la vista, fino a quando a 27 anni sono giunto ad avere solamente la percezione di sagome e ombre. Dopo l'inizio della malattia è venuto a mancare il papà per un tumore e posso usare una espressione per definire la mia condizione di partenza in questo viaggio: mi hanno caricato uno zaino bello pesante. Per usare un'altra immagine che sia più incoraggiante però posso dire che le cose viste dall'alto fanno sempre meno paura. Quando vedi una via da sotto hai i tuoi timori, ma iniziando a fare qualcosa la paura si diluisce, inizi a prendere confidenza con questo stesso sentimento. Emotivamente stavo peggio all'inizio. Anche se ci vedevo meglio, il carico emotivo era molto forte. Mia madre però mi ha sempre spinto a cercare l'entusiasmo fuori dal razionale. Intorno ai 16 anni la musica mi ha dato una mano a ritrovare un contatto con la mia fisicità, un rapporto che si era interrotto e che aveva coinvolto anche le mie attività di montagna. Da lì è ripartito un po' tutto.

 

L'arrampicata e un viaggio ti hanno aiutato a ritrovare entusiasmo.
Gli amici mi hanno riportato ad arrampicare, nel 2010 invece ho fatto un viaggio in tandem con Dino Lazzaretti, fino in Uzbekistan. Avevo studiato fisioterapia ma non ero soddisfatto. Quel viaggio mi ha dato l'opportunità di cambiare vita ed è stato un viaggio particolare, con delle caratteristiche che ricerco ancora oggi. Non la chiamerei improvvisazione, più che altro è voglia di scoprire le cose un passo alla volta, di lasciare spazio all'avventura: in quell'occasione non avevamo assistenza, non siamo partiti con i visti pronti e infatti dopo la Turchia abbiamo dovuti deviare in Georgia e Armenia.

Simone mentre scala outdoor © S. Salvagnin

Anche dopo che hai trovato la "tua strada", si è trattato comunque di un percorso con alti e bassi. A volte nella narrazione si tende a semplificare: invece non basta trovare “una svolta”, si tratta di una ricerca quotidiana, di un impegno costante.
Il viaggio in Uzbekistan mi ha dato notorietà e la gente ha iniziato a sapere che non ci vedevo, ho avuto accesso a più possibilità. Il mio percorso comunque l'ho vissuto sempre con grande inquietudine, diciamo che a 13 anni e a 27 ho vissuto due vere e proprie rinascite. L'importante a un certo punto è capire - ed è anche un tema che affronto spesso negli incontri che tengo- che la proiezione di quella che è la nostra condizione ci condiziona fortemente. Se tagli una gamba a un gatto, lui semplicemente troverà un modo per fare quello che gli serve su tre gambe, mentre noi siamo condizionati tantissimo dal contesto sociale. Dobbiamo sbarazzarci di quello per ottenere il meglio. Chiaramente le difficoltà ci sono e non sono quelle che affronta un normodotato, ma senza condizionamenti ci si può semplicemente concentrare sullo sfruttare al meglio le proprie possibilità.

 

L'arrampicata sportiva ti ha regalato e ti regala ancora molte soddisfazioni. 
Come categoria sportiva sono in B2: per intenderci, B1 sono i ciechi totali. Sono in nazionale da 14 anni, ho fatto molte gare, i mondiali e sono contento che nel 2028 debutteremo alle Paralimpiadi. Credo che sia una cosa bella per il movimento in generale, i Giochi sono l'unica manifestazione che può permettere a un atleta di lavorare in vista dell'appuntamento con un vero sostegno. In generale l'arrampicata sportiva è cambiata molto rispetto a un tempo. Da statica, dove ci si muove da un punto A fino a un punto B con l'ausilio della guida, ora si lavora di più sulle compressioni e sulla fluidità del movimento. Devi arrampicare senza sapere esattamente dove stai andando, ma questo ti permette di mantenere il movimento e di progredire. 

In progressione sulla neve © S. Salvagnin

Qual è il rapporto con il vuoto per chi non vede?
La vista è l'organo di senso che manda meno informazioni, in realtà a livello personale ti posso dire che il vuoto lo sento molto di più nella condizione di non vedente. Nella mia esperienza l'ho sofferto più in palestra che sulle big wall. In generale l'inquietudine, la paura, si insinuano di più in uno stato di quiete, mentre se sei produttivo, se la mente è impegnata, le emozioni negative non hanno spazio per inserirsi.

 

Nonostante tu abbia un grado molto alto, non ti piace parlarne. Come mai?
Perché è fuorviante. Negli incontri che tengo, nei quali aiuto le persone a mettere a frutto il loro potenziale, spiego sempre che non è tanto importante focalizzarsi sull'obiettivo, ma sull'uscire dalla zona di comfort. È meglio provare a fare ciò che non ci riesce senza pensare a qualcosa come un traguardo da raggiungere, ma ascoltando bene cosa ci frena, perché lì c'è la risposta per migliorare davvero.

 

Le spedizioni ti appassionano ancora molto?
L'anno scorso ho effettuato la traversata dell'Islanda da nord a sud, ho fatto spedizioni in Sudamerica e in Himalaya. Due anni fa, in Nepal, ho partecipato all'apertura di un nuovo itinerario di salita al Ganchenpo; non dal Langtang, ma dal versante opposto. Sto per presentare un progetto per una nuova spedizione che si chiamerà Siete Cumbres, un'alternativa alle inflazionate Seven Summits. Vogliamo scalare le sette cime più alte delle Ande; una per ogni Stato però, invece che le sette più alte in assoluto. L'Aconcagua è la più conosciuta, le altre non molto. Andrò con Cesar Rosales, un alpinista e guida alpina che si è formato con un progetto di Mato Grosso. Hanno dato la possibilità ai ragazzi di una zona povera di fare un corso per diventare guide, con l'idea di formare della gente sul posto e di sviluppare il turismo dell'alta montagna.

 

La tecnologia quali nuovi strumenti offre ai viaggiatori non vedenti? Quanto è cambiata l'esplorazione rispetto a quando hai iniziato?
Tutto il mondo smartphone ha dato una grandissima mano, oggi poi l'intelligenza artificiale è molto potente, posso interagire con l'ambiente. Posso fare domande con ChatGPT per capire cosa c'è dentro quello che il mio smartphone inquadra, secondo quello che io voglio sapere. Ma non hai la velocità di realizzare in tempo reale che ha un umano e comunque io tra cane e navigatore me la cavo egregiamente. E poi devo dire che preferisco l'interazione, la sinergia con gli altri.