Una stagione inusuale, con cieli tersi e con le cime himalayane flagellate da venti implacabili e costanti. Ma forse, chissà, il prossimo anno sarà tutto diverso
La spedizione invernale al Manaslu di Simone Moro e Alex Txikon, com’è noto, si è conclusa senza la vetta. Rientrato a casa, l’alpinista bergamasco ha fatto con noi il punto sulla vicenda. Ecco i passi salienti del nostro colloquio.
Simone, un inverno da cancellare?
«Può sembrare paradossale, ma d’inverno, in Himalaya, non mi era mai capitato di incontrare tanti giorni con il cielo blu com’è avvenuto quest’anno. Il cielo terso era però spesso abbinato a venti fortissimi – parlo della seconda parte della spedizione, sino alla fine di febbraio. Prima, nei quindici giorni in cui il tempo è stato davvero buono, periodo che sarebbe stato l’ideale per tentare la cima del Manaslu, abbiamo dovuto fare i conti con degli enormi crepacci che ci hanno sbarrato la strada. Crepacci che nemmeno gli sherpa ingaggiati da Alex Txikon – che avevano già salito più volte il Manaslu – avevano mai incontrato. In ottobre, per dire, quando il Manalsu era stato salito dal principe del Bahrein, Nasser Nasser bin Hamad Al Khalifa – ne hanno parlato tutti i giornali –quei crepacci non c’erano».
Simone nella tenda di uno dei campi alti © Archivio di Simone Moro
E come te li spieghi?
«È probabile che, a causa del riscaldamento globale, il ghiacciaio abbia subito un’accelerazione nel suo abituale scorrimento verso valle. Ad ogni buon conto, noi non avevamo portato un quantitativo di materiale adatto a superare quel tipo di ostacolo. Ad esempio, non disponevamo di scalette come quelle che di solito si usano sulla grande seraccata dell’Everest. Poi, più tardi, quando eravamo riusciti a tracciare la nuova variante di salita, la montagna ha cominciato ad essere spazzata da venti che soffiavano costanti a 75 chilometri l’ora».
In ogni caso è stato un inverno particolare…
«Direi un inverno inusuale che – ad eccezione dell’ascensione nepalese sul K2, avvenuta nella prima parte della stagione, il 16 gennaio – non ha permesso a nessuno di arrivare in cima alle montagne più alte dell’Himalaya»..
Tornerai al Manaslu?
«Sì, a dicembre ci tornerò per la quarta volta. Stavolta però cercherò di partire prima per il Nepal, cosa che nella stagione che sta per terminare, per via dei problemi legati alla pandemia di Covid-19, non mi è stato possibile fare. E infatti siamo arrivati tardi, e quando siamo atterrati a Kathmandu ci è pure toccata una settimana di quarantena. Tuttavia, come dicevo prima, per i primi 15 giorni il tempo è stato clemente, roba da non credere. Ma da un certo momento in poi la vetta si è rivelata impraticabile. Morale: non esiste un ottomila facile. D’inverno non puoi mai prevedere sino in fondo le condizioni di una montagna».
Un momento della salita © Simone Moro
Hai avuto qualche problema con i tuoi compagni di spedizione?
«Zero. Con Txikon mi trovo benissimo. La nostra è un’amicizia nata nel 2003. Ci conosciamo da diciotto anni. Abbiamo due modi diversi di salire. Se ad esempio, il tempo si guasta e io mi trovo a due ore dal campo base, di solito preferisco scendere e tornare in alto con il bel tempo: lo trovo meno usurante. A Txikon, invece, piace rimanere sulla montagna comunque, anche nel caso in cui, per via del maltempo, la sua progressione desse scarsi risultati. Ma la sintonia che ho con Alex è sempre perfetta. Quando io ho rinunciato, quasi una settimana prima di lui, non c’è stato nessun problema. Le previsioni meteo annunciavano venti forti: lui ha sperato che fossero sbagliate e ha voluto provare lo stesso. Ma io so che raramente Karl Gabl sbaglia. E infatti…
».
Qual è la tua opinione in merito all’ascensione nepalese sul K2?
«Sono contento che Nirmal e gli altri sherpa siano arrivati in cima perché, nell’ambito della storia dell’himalaysmo, quest’ascensione rende loro giustizia. Si può discutere sullo stile ma, pur tenendo presente il loro grande acclimatamento (quei ragazzi lavorano in continuazione con le spedizioni commerciali, e quindi si muovono bene anche alle quote più alte), non si può fare a meno di prendere atto della prestazione psicofisica della squadra di vetta del K2. In ogni caso, la performance di Nirmal Purja, che è arrivato in vetta senza far uso delle bombole dell’ossigeno, e il grande lavoro di attrezzatura della via che ha impegnato gli altri componenti della squadra di vetta rendono perfettamente l’idea di cosa i nepalesi siano riusciti a fare. Per questo è giusto che siano stati loro ad arrivare per primi in cima al K2 d’inverno».