Silvia Loreggian: «Il K2 è la montagna con la emme maiuscola»

L'alpinista veneta vive a Chamonix con il suo ragazzo: sono entrambi guide alpine e amano le spedizioni in luoghi poco battuti. «La spedizione del CAI è una bellissima opportunità»
© S.Loreggian

Silvia Loreggian si sta allenando duramente per la spedizione al K2 del Club Alpino Italia, un evento che nella sua vita si è manifestato «in maniera improvvisa e a assolutamente inaspettata». La 34enne padovana vive a Chamonix con Stefano Ragazzo. Entrambi guide alpine, hanno trovato la loro dimensione all'ombra del Monte Bianco.

 

Come si vive in Francia? Come mai vi siete trasferiti?

Io e il mio fidanzato siamo padovani, per 4-5 anni siamo andati a vivere nell'Agordino, in mezzo alle Dolomiti. Ma non riuscivamo a trovare un affitto a lungo termine ed eravamo già stati a Chamonix, dove siamo tornati volentieri. A differenza di Courmayeur, che è molto legata alla gente del posto, a Chamonix l'atmosfera è internazionale, l'ambiente è giovane, transitorio. Si parlano molte lingue, c'è molto turismo legato alla montagna, arriva sempre gente nuova. Per me è la capitale mondiale dell'alpinismo. Da Chamonix è partita la prima ascensione al Monte Bianco e ancora oggi ci sono infinite possibilità di praticare l'alpinismo in ogni sua forma. Noi siamo due guide indipendenti: ci appoggiamo a diverse agenzie, ma per lo più facciamo squadra insieme.

 

In che forma di alpinismo ti ritrovi maggiormente?

Senza ombra di dubbio nell'arrampicata su roccia su grandi pareti, come la Marmolada, le Pale di San Lucano, il Civetta o El Capitan, se vogliamo andare più lontano. Ma anche la Patagonia, nel senso che preferisco posti non troppo frequentati.

 

Sullo spigolo nord dell'Agner. Sullo sfondo il Diedro Casarotto sullo Spiz di Lagunaz © S.Loreggian

 

Di quale salita hai un ricordo speciale, come prima ascensione davvero importante?

Il Diedro Casarotto sullo Spiz di Lagunaz, nel 2015. In quella estate sono passata dal semplice arrampicare a una serie di scalate che mi hanno portato a vivere in modo pieno l'alpinismo. Quella salita è stata la mia prima via lunga con bivacco in parete, insieme a due compagni che hanno riposto tutta la loro fiducia in me, dal momento che in quella giornata ho tirato la cordata. Ho acquisito una consapevolezza che mi sono portata dietro, fino a intraprendere il percorso per diventare aspirante guida e via così. Sono diventata guida alpina l'anno scorso.

 

Una via di particolare soddisfazione nel tuo presente?

La via che abbiamo aperto con Stefano in Alaska, nella primavera dell'anno scorso, sul Cemetery Spire. Il Kichatna è un posto pazzesco, glaciale: assomiglia al Fitz Roy in Patagonia o ai satelliti del Monte Bianco. Ci sono guglie di granito che si stagliano in cielo per 1500 metri, ci arrivi in aereo e fai campo base con la tua tenda, sei solo. Noi avevamo visto delle immagini satellitari, ma le pareti guardavano a nord, soggette a precipitazioni e non si pulivano mai. Così abbiamo individuato un altro obiettivo: abbiamo trovato questo pilastro, con un diedro che che da metà parete saliva fino alla cima. Abbiamo tirato una linea dritta immaginaria e abbiamo pensato di salire da lì. Appena c'è stato bel tempo, dopo una settimana di attesa, siamo partiti e abbiamo fatto i primi tiri. Il giorno dopo siamo partiti e in 28 ore siamo riusciti a rientrare. Abbiamo sfruttato il fatto che lì la luce va via tardi: alla fine ci si chiudevano gli occhi, in discesa e ci siamo fermati per dormire un'ora. Abbiamo chiamato la via Gold Rush (7a+ max, A1), ha uno sviluppo di circa 600 metri.

 

Cosa hai pensato quando sei stata convocata per la spedizione al K2?

Per me è stato totalmente inaspettata, anche perché in realtà non sapevo proprio che ci fosse qualcosa del genere in programma. Un po' mi è venuto da ridere, l'ho vista come una cosa distante dalla mia realtà, ma nel giro di pochi giorni mi sono resa conta che sarebbe stata una bellissima opportunità. Anche perché non lo avrei mai fatto di mia iniziativa. Chissà, magari scopro che è la cosa più bella del mondo per me. Nel momento in cui ho deciso di cogliere l'opportunità, mi ci sono buttata a capofitto. Quest'inverno ho trascurato anche il lavoro per allenarmi a modo. Voglio fare il K2 senza ossigeno e voglio essere in forma per godermela, non voglio che sia una sofferenza.

 

Che esperienza hai in alta quota?

Ho vissuto diverse avventure in posti sconosciuti, anche in quota, ma mai così in alto e soprattutto nel contesto di un team tecnico e con un campo base come quello del K2, che è come una città. Nel 2022 siamo andati in Nepal, abbiamo salito il Sato Peak, eravamo a 6200 metri di quota. Non abbiamo fatto la cima, non avevamo risorse di cibo e quant'altro per tentare di arrivare in vetta. Così siamo saliti fino all'avancorpo, percorrendo la cresta, l'abbiamo chiamata Sato Pyramide.

 

Guardino del Sultano, Pizzetto Est, Dolomiti © S.Loreggian

 

Cosa significa per te andare in spedizione senza Stefano?

È la prima volta in un contesto di questo tipo ed è stato uno dei miei primi dubbi. Stare cinquanta giorni là, scalare senza di lui ha rappresentato un pensiero, non ho problemi a dirlo. Con le ragazze comunque stiamo facendo cose insieme: abbiamo scalato, abbiamo sciato, ci stiamo preparando all'avventura.

 

Cosa rappresentano per te il K2 e la spedizione italiana del '54?

Del K2 mi ha colpito quanto fatto da Bonatti: la sua umiltà, la sua bravura messa al servizio degli altri. Mi fa piacere che negli anni abbia avuto il riconoscimento che si meritava. Della montagna in sé non c'è molto da dire: ha un fascino incredibile, fin dalla sua forma che è quella di una vera e propria montagna con la emme maiuscola. Più bello dell'Everest, sa più di quell'alpinismo che mi piace.

 

Guarda la video intervista a Silvia Loreggian