Se hai un sogno voli

Patrick Berhault diventa famoso per una caduta. Spaventosa. Nel 1978, quando ha solo ventun anni, precipita con Pierre Brizzi dalla parete est dei Trois Dents du Pelvoux: ottocento metri di volo su rocce e ghiaccio. Succede verso la cima, quando i due ragazzi hanno quasi terminato la prima salita del canalino che si stringe tra i Trois Dents e il Petit Pelvoux. Sul facile, dove il pendio spiana, si stacca un accumulo di neve che si infila nella goulotte e li tira giù. Un dio benevolo li protegge, o forse la valanga stessa, spessa e morbida, una panna montata. Brizzi se la cava con ammaccature da tutte le parti e ne esce nero come un pugile bastonato; Berhault si spacca un bel po’ di ossa, ma sopravvive.


Un destino segnato? Sì, al contrario. Siccome ha le braccia libere, nei mesi di convalescenza Patrick usa il tempo per potenziare gli arti superiori con le trazioni alla sbarra, e non ha neanche bisogno dei pesi perché è ingessato dalla vita in giù. In ospedale scopre che dietro l’errore, o la sfiga, o il destino, si è radicata in lui la determinazione dell’alpinista.


Berhault è un grande scalatore ed è uno dei primi alpinisti sportivi, perché alla fine degli anni Settanta, con Patrick Edlinger, esporta in montagna i modi della falesia. Nel 1979 è nominato “migliore alpinista dell’anno”. Per qualche tempo si dedica soprattutto all’arrampicata, diventando un simbolo. Per fede romantica è contrario alle competizioni, ma scala tutto il possibile da Nizza al Verdon, finché torna a Chamonix, diventa istruttore all’École nationale de ski et alpinisme e sale in alto. Concatena le vie più difficili nei posti più selvaggi: le Grandes Jorasses, le grandi pareti nord, i pilastri del Frêney sul Monte Bianco. Con lui le montagne sembrano più basse e le giornate ne contengono tante, tantissime.


Nell’autunno del 2000 parte dalla Slovenia con Edlinger, l’amico di gioventù. Vuole unire in un viaggio simbolico la gente della montagna con i più duri banchi di prova dell’alpinismo contemporaneo, dalla Marmolada all’Eiger, dalle Jorasses agli Écrins, fino al Corno Stella e allo Scarason. Incontra la stagione più nera con alluvioni e nevicate epocali, ma non molla mai: 167 giorni di traversata, 142 mila metri di dislivello, 22 mila metri di parete, tutto a piedi o in bicicletta, fino alla spiaggia di Mentone. Nel tratto più duro del viaggio lo accompagna Philippe Magnin, l’amico degli ultimi anni. «Qualcuno mi ha chiesto se non fossi un pazzo a continuare con un inverno così. Posso rispondere come ho sempre risposto: se hai dentro un progetto, un sogno, allora la fatica diventa un piacere.»
Berhault muore nell’inverno del 2004 sul Dom de Mischabel, cadendo con una cornice di neve. Se ne va un uomo speciale.