Scienza, arte e sogno per guardare alla montagna

A cavallo tra scienza e mistica, l’arte di Alberto Di Fabio indaga l’invisibile della natura mettendo al centro la montagna.
2018 Materia pensante, mosaic and wall painting © Artefiera Bologna 2018

Recentemente protagonista nella mostra Orogenesi al Museo della Montagna di Torino e presente con i suoi lavori nella collettiva The Mountain Touch al MUSE di Trento, Alberto Di Fabio traccia ponti invisibili tra natura, divinità e umano. Dall’impercettibilità delle forze quantiche che governano la vita di un atomo alle dinamiche che muovono costellazioni e galassie, attraverso la sua lente artistica, Di Fabio ne individua ed esplora gli elementi comuni. Con un linguaggio astratto e colorato che si nutre di influenze surrealiste e metafisiche, l’arte di Di Fabio è strettamente legata alla dimensione della montagna.

Iniziata sugli appennini abruzzesi e mai abbandonata, la passione dell’artista per la montagna è tanto forte quanto profonda. Nel corso degli anni, Alberto Di Fabio ha coltivato un rapporto intimo con l’ambiente montano, basato sulla sua contemplazione. Se da un lato l’artista sembra osservare la montagna attraverso la lente di un microscopio ottico, dipingendo pattern del tutto simili a reti neuronali o a strutture cristalline, dall’altro lato Di Fabio esplora una dimensione metafisica della montagna, che sconfina in una metamorfosi onirico-spirituale.

 

La tua fascinazione per la montagna nasce con la Marsica abruzzese, cosa ti ha attratto?

Le piramidi del Monte Velino sono state le mie prime visioni ascetiche, fin da bambino. Inizialmente, non capivo bene cosa fossero, eppure mi soffermavo per ore a contemplarle. Nelle meditazioni, preghiere, che facevo davanti a queste vette, mi sono accorto che era come se riuscissi a fermare la mente, che non è per niente facile. Nel tempo, mi sono accorto che questo è l’effetto che le montagne hanno su di me. Successivamente, ho quindi continuato a coltivare esperienze in montagna, e nelle mie opere cerco sempre di far emergere la forza divina, alla quale mi ispiro nelle mie esperienze in natura.

 

Com’è cambiato questo rapporto nel tempo?

Negli anni mi è capitato di trasferirmi a Ponza, dove non ci sono montagne, ma scogliere rocciose, molto simili a delle visioni dolomitiche. A Ponza, ad esempio, non dipingo mai, vado lì solo per meditare e sognare. In quelle scogliere ci riconosco le forze naturali che regolano il mondo, la gravità, il magnetismo e la forza nucleare presente nell’atomo. È a queste forze che mi rivolgo come guida per realizzare le mie opere. Sono costretto a immergermi nella natura perché queste sono visioni che altrimenti non mi verrebbero in studio. In generale, anche quando frequento la montagna, raramente salgo fino alla vetta, preferisco invece ammirarla dal basso all’alto, coltivando un punto d’adorazione, con rispetto.

 

Hai lavorato anche molti anni all’estero, ad esempio a New York, come ti ha accompagnato la montagna in questi anni?

Quando ero negli States, mi sono salvato facendo spesso visita ai grandi parchi naturali. Allo stesso tempo, anche la vita frenetica di una città come New York offre diversi stimoli. C’è un’aria vibrante e c’è parecchio da sentire anche in studio, visitando il Moma, il Metropolitan e gli altri musei. E, allora, ti ritrovi di fronte ad alcune opere che ti risuonano dentro, come se fossi al cospetto dell’himalaya. In questo, per me sì, l’arte è come la montagna.

Incontri tra montagne, 1992, tempera su carta, 55.7 x 37.8 cm

La montagna per te è una divinità, come la celebri?

Quando accenno alla religione, alla spiritualità, cerco anche di definire il mio lavoro, che prende spunto dalla scienza, dalla matematica e dalla filosofia. Quello che mi piace è evidenziare ponti e riferimenti che mettono in relazione tra loro queste tre arti. Si tratta del mio tentativo di rappresentare il soffio divino che c’è nelle cose, dove come un moderno sciamano, attraverso il pennello traghetto l’osservatore raggiunge una realtà più alta. Quando penso alle montagne dei miei ricordi, le rendo divine tramandandone la memoria nei miei lavori. Per me le montagne sono divinità assolute alle quali affidarsi a raggiungere momenti di estasi, ed entrare in dimensioni eteree.

 

I tuoi soggetti sono le montagne, eppure tanto di quello che rappresenti è invisibile. L’utilizzo di un registro artistico come quello della pittura è limitante o offre possibilità infinite?

È un registro limitato e infinito al tempo stesso, così come lo siamo noi. La pittura è bidimensionale, il che rende quasi impossibile descrivere cose come la fisica quantistica. Questo però non deve spaventare, anche perché ci hanno preceduto grandi lavori artistici come quello degli iconografi ortodossi, dei Surrealisti o la metafisica di De Chirico.

Noi stessi esseri umani siamo biologici e quindi per nostro limite ci aggrappiamo alla simbologia per rappresentare l’invisibile.

Nei miei lavori, quando disegno una grande roccia parlo contemporaneamente della dimensione micro e macro. Oggi, con l’ausilio delle nuove tecnologie, possiamo vedere cose che prima non vedevamo ed emergono così nuovi elementi, nuovi simboli. Diciamo che è un registro limitato che però tende all’infinito.

 

Tra gli strumenti che utilizzi c’è anche un microscopio ottico, ti senti un artista/scienziato?

Mi diverto molto nel mettere i vetrini sotto le lenti del microscopio e mi aiuta a trovare ispirazione per i miei lavori. È un tentativo di liberarmi da un approccio didascalico alla rappresentazione della realtà e dunque da anni coltivo questi ponti mentali tra mondo onirico e frattali naturali. Ultimamente, mi sto interessando molto all’astrofisica e alle onde gravitazionali.

 

I frattali sono molto presenti anche in montagna, che valore trovi nella ripetizione?

Nelle mie serie artistiche intendo la ripetizione come una formula empirica da provare e riprovare fino a che non si arriva alla soluzione. In questo, ci vedo un parallelo con le preghiere. A dirlo può sembrare banale, ma la ripetizione di una cosa all’infinito porta a vedere cose che non si possono vedere a occhi nudi. Penso, ad esempio, alle esperienze di trance mistica, che derivano dalla ripetizione dei mantra, ma anche al susseguirsi di ogni passo e respiro durante un’uscita in montagna.