Quel giorno del 1862 sul ghiacciaio: ricordi del Gigiàt

Conoscete il Gigiàt? È un caprone mitologico che veglia sulla natura delle Alpi. Si presenta ai lettori de Lo Scarpone raccontandoci un suo ricordo lontano. Era il 1862 e quel giorno il Gigiàt si trovava su un ghiacciaio...

 

Disgrazia, Picco Glorioso, Pizzo Bello. In qualunque modo lo si chiami è una splendida montagna. Fotografia di Giovanni Baccolo.

Se non siete frequentatori delle Alpi Retiche probabilmente non avete sentito parlare di me. Mi presento, sono il Gigiàt. Da tempo immemore gli abitanti della Val Masino -una valle laterale della bassa Valtellina- mi chiamano così, usando lo stesso termine che nel loro dialetto indica qualcosa di indefinito e misterioso. Non poteva esserci termine più adatto! Nemmeno io so esattamente chi sono. Chi mi disegna mi raffigura come un gigantesco caprone munito di lunghe corna. Viene tramandato che chi ha rispetto per la natura non deve temere le mie ire; al contrario chi la profana è meglio se ne stia alla larga. Sono un guardiano, il guardiano delle montagne selvagge.

Ho deciso che era tempo di lasciare la Val Masino ed esplorare l’arco Alpino per vigilare sulla sua integrità. E in questo compito mi state dando grande aiuto. Chiunque osservi qualcosa di “storto” può scrivermi, aiutandomi a puntare lo sguardo dove è bene porre attenzione per rivelare i danni prodotti dalla crisi climatica e da opere poco rispettose dell’ambiente. Sono un caprone social e qui trovate la mia pagina dove potete contattarmi.

Una raffigurazione del Gigiàt. Chi frequenta la Val Masino conosce probabilmente il disegno che decora una delle case di San Martino.

Incontri inaspettati sul Ghiacciaio di Preda Rossa

Oggi però non voglio parlare del presente, bensì condividere un ricordo lontano. Quel giorno -era il 1862- mi trovavo in alto, sui ghiacci Retici che colmavano il vallone di Preda Rossa. Un luogo meraviglioso, nel cuore delle mie montagne e al cospetto di una cima Gloriosa, il Monte Disgrazia. Pizzo Bello, ampio, maestoso. La più alta cima della Val Masino che ho raggiunto centinaia di volte. Era da poco sorto il sole e correvo felice sul ghiacciaio ancora immerso nelle ombre azzurre dell’alba. A un tratto il silenzio del primo mattino fu rotto da voci lontane. «Strano» pensai, «qui non viene nessuno, i pastori più avventurosi si fermano parecchio sotto al ghiacciaio». «Forse sono cacciatori che si sono persi». Le voci intanto rimbombavano nel vallone sempre più vicine. Un po’ di inglese, del tedesco, sicuramente non il dialetto dei valligiani. Svelto e silenzioso mi nascosi dietro a un masso precipitato nel mezzo del ghiacciaio e rimasi in ascolto. La comitiva aveva raggiunto il ghiacciaio e si dirigeva verso il masso.

Non avevo mai visto persone simili lassù. Armati di corde, piccozze e scarponi chiodati,  erano inoltre vestiti di tutto punto con capi in velluto e fustagno. Veri e propri gentleman. Il loro volto, per buona parte nascosto da folte barbe, era abbronzato e dalla decisione con cui si muovevano era chiaro che fossero a proprio agio in montagna. Capii che quello che parlava tedesco era la guida. Con maestria intuiva il percorso sicuro attraverso i profondi crepacci aperti nel ghiaccio. Gli altri seguivano attenti. Dai discorsi compresi che erano diretti sulla cima del Disgrazia, luogo ignoto alla specie umana. Non era la prima volta che tentavano la salita, ma le altre volte avevano provato a farsi strada dal versante malenco della montagna.

Fu quella una delle rare volte in cui decisi di palesarmi. Con un balzo saltai davanti al masso ed esclamai «Buongiorno!». La guida urlò qualcosa e brandì la piccozza stralunato. «Calma signori, calma. Non c’è motivo di innervosirsi. Lasciate che mi presenti. Sono il Gigiàt, custode della Val Masino». Dopo l’iniziale spavento la comitiva capì che non c’era motivo d’aver paura. Uno di loro -avrei scoperto di lì a poco che si trattava del celebre Leslie Stephen- portò la mano al capo, afferrò il cappello e accennò un timido inchino. «Salve Gigiàt, giù in valle a San Martino ci hanno parlato di te ma non ci aspettavamo di fare la tua conoscenza.», «Certo che no!» risposi io, «Non sono solito mostrarmi a voi, ma questa volta ho fatto un’eccezione perché volete salire il Disgrazia». «Esatto! I signori qui presenti, Leslie Stephen, Edward Shirley Kennedy e il loro aiutante Thomas Cox, mi hanno chiesto di guidarli in cima a questa bella montagna. Io sono Melchiorr Anderegg di Meiringen, guida alpina.». «Piacere di fare la vostra conoscenza.» risposi io, «sono contento che abbiate scoperto la bellezza dell’alta montagna e mi complimento per la scelta di salire questa cima. Sono stato poco fa lassù e vi garantisco che la vista è insuperabile, vi divertirete.».

Le confidenze del Gigiàt

La conversazione languì. Eravamo in effetti perfetti sconosciuti e trovare qualcosa di appropriato da aggiungere non era semplice. Tuttavia avevo un pensiero in testa, ma ero riluttante a condividerlo. Non sapevo come cominciare. Abbassai lo sguardo, smossi nervosamente un po’ di neve con gli zoccoli e infine mi decisi. «Permettetemi di farvi una confidenza.». Fissai la guida dritta negli occhi, intuendo che forse sarebbe stato Melchiorr -figlio delle Alpi come me- a capire quanto stavo per dire. «Queste alte montagne sono meravigliose vero? E i ghiacciai? Anche loro sono splendidi e siamo amici da tempo immemore. Sono davvero contento che abbiate deciso di conoscere e frequentare questi ambienti selvaggi. Le fatiche quassù sono ripagate e la conoscenza della natura incontaminata lascia insegnamenti impossibili da ricevere altrove.» I quattro signori avevano intanto appoggiato i bastoni sul ghiacciaio e mi ascoltavano muovendo il capo, non capivo se in segno di approvazione o al contrario perché non capissero dove volevo andare a parare. «Belle, ricche, insostituibili ma anche tanto fragili. Forse ora che avete iniziato a conoscerle non ve ne rendete conto, ma tutto ciò che vi circonda, il ghiaccio stesso su cui camminiamo, tutto qui è fragile e governato da delicati equilibri. Ricordatelo e abbiate cura di queste meraviglie naturali e delle piante e degli animali che le popolano. Raccontatelo agli altri vostri amici che amano le montagne.».

Alcuni dei protagonisti di questa chiacchierata immaginaria. A sinistra Leslie Stephen e Melchiorr Anderegg (circa 1870), a destra Edward Shirley Kennedy (circa 1890). Immagini di pubblico dominio.

Era la prima volta che parlavo in questo modo. Preso dalla timidezza non lasciai ai signori nemmeno il tempo di rispondere che già stavo correndo giù dal ghiacciaio fischiando come un pazzo e agitando le corna. In fin dei conti sono una bestia, non un cicerone. Dopo aver corso finché il fiato me lo permise, mi nascosi dietro alla morena e puntai lo sguardo in alto. La cordata si preparava a salire le ultime balze in vista della cima. Con felicità vidi che riuscirono nell’impresa desiderata. Al ritorno li udii cantare e complimentarsi l’un con l’altro. Quasi volevo congratularmi, ma preferii non intromettermi nuovamente. Senza che se ne accorgessero mi passarono a fianco e a sera raggiunsero nuovamente il paese a valle, San Martino. Quegli alpinisti camminarono per 24 ore, macinando 30 chilometri e guadagnando 3000 metri di dislivello. Pensai che chi fosse disposto a una simile fatica per godere delle meraviglie della montagna, non avrebbe certamente danneggiato quella stessa natura che tanta passione poteva ispirare. Mi addormentai sotto a un larice e non nascondo che dormii proprio bene sotto le stelle, ero sollevato. Temevo che voi umani avreste portato disturbo e rovina tra le cime e i ghiacciai, ma mi ricredetti. Mi sembrava il vostro un modo genuino ed equilibrato di frequentare la montagna.

Da quel giorno i larici hanno preso il posto del ghiaccio

Sono passati 161 anni. In quello stesso punto dove incontrai gli esploratori, di ghiaccio non ce n’è più da tempo. Anzi, tutto il ghiacciaio è un pallido ricordo di ciò che era. Nel vallone di Preda Rossa rimangono le morene come immani scheletri di quegli antichi ghiacciai, ma di ghiaccio vero e proprio ce n'è sempre meno. Nelle giornate d’estate intorno al piccolo ghiacciaio precipitano rocce da ogni dove e la poca neve che sopravvive all’estate è sporca e nerastra. I larici si sono messi in cammino verso l’alto per seguire il clima più adatto al loro temperamento alpino. Le montagne sono ancora meravigliose ma un occhio attento non fatica a cogliere la difficoltà e le trasformazioni che le attraversano. Ora numerosi riempite la valle e in tanti salite il Disgrazia. Per farlo arrivate con l’automobile fino a duemila metri, trovate riparo nei rifugi e seguite sentieri ben segnati, sfruttando informazioni fin troppo precise e dettagliate.

Le Alpi non sono più così selvagge come al tempo di Stephen e Anderegg, frequentarle è certamente meno faticoso. Molti di voi sono attenti a non portare disturbo, ma tanti lo dimenticano. La fragilità della montagna è messa a dura prova. Sento di continuo parlare di progetti di costruzione, impianti, strade, eventi per folle che spaventano gli amici stambecchi. Non cogliete la velocità con cui la natura di montagna è stravolta? I ghiacciai scomparsi sono qui a ricordarcelo. Quegli stessi signori che incontrai nel 1862, se fossero oggi sul ghiacciaio di Preda Rossa non lo riconoscerebbero. Chissà, forse non riuscirebbero nemmeno a compiere la salita.

In tanti mi sostenete e mi aiutate a raccontare cosa succede sulle Alpi. Vi sono grato. Eppure, ora mi addormento sotto a quello stesso larice -che intanto si è fatto grosso e nodoso- e non sono più sereno come capitò quella lontana notte.

Il vallone di Preda Rossa: a sinistra la mole appuntita dei Corni Bruciati, sulla destra invece la costiera Remoluzza/Arcanzo da cui arrivarono i primi salitori del Disgrazia. La dorsale al centro della valle, resa evidente dal gioco di ombre e neve, è la morena che segna il limite raggiunto dal ghiacciaio di Preda Rossa nel 19mo secolo, al termine della piccola età glaciale. Fotografia di Jacopo Luzzi.

 

 

Note: inutile precisare che l’incontro sia frutto di fantasia. L’irrealistico episodio sorvola inoltre sulla storia locale degli oronimi, assai complessa e articolata per quanto riguarda il Disgrazia. La narrazione della prima salita al Monte Disgrazia risale a uno dei suoi protagonisti -E.S. Kennedy- che ne pubblicò il resoconto sul primo numero dell’Alpine Journal (1863).