Fu subito un altro arrampicare. Quando la tecnica dei ramponi a punte avanti entrò nell’uso corrente degli alpinisti, cambiando il modo d’impugnare le piccozze e modificando la curvatura degli attrezzi, la scalata su ghiaccio rinacque. La progressione frontale anticipata sulle rigole ghiacciate del Ben Nevis in Scozia, si rivelò rivoluzionaria alzando in un solo colpo le prestazioni, abbattendo i tempi e scoprendo linee di salita che prima degli anni Settanta sembravano inimmaginabili: colatoi verticali, seracchi, cascate congelate. Si scalò sull’acqua e sull’effimero.
Dopo la storica salita di Cecchinel e Jager al couloir nord dei Drus nel 1973, sono sempre i francesi a raccogliere e applicare la magia del piolet-traction. Jean-Marc Boivin e Patrick Gabarrou si impongono come gli interpreti più brillanti e fantasiosi, frantumando i limiti dell’arrampicata glaciale. Scalando il Supercouloir del Mont Blanc du Tacul, il colatoio incastonato tra i pilastri di granito dove in certe condizioni un serpente di ghiaccio aderisce alla roccia, nel 1975 dimostrano che si può davvero sperimentare un nuovo alpinismo. Per esempio si può scalare in meno di tre ore (Boivin, 1977) il famoso Linceul di Desmaison e Flematti alla Grande Jorasses, e senza neanche sentirsi superiori: semplicemente più veloci. Ogni sogno è possibile con il gelo, basta aspettare che la natura offra la possibilità di piantare gli attrezzi.
Jean-Marc e Patrick
Boivin e Gabarrou sono coetanei: classe 1951. Jean-Marc è un ingegnere molto simpatico che vive di emozioni alternando all’alpinismo lo sci estremo, il deltaplano e il base jump. Purtroppo muore nel 1990, prima di compiere i 40 anni, durante un salto con il paracadute dal Santo Angel, la più alta cascata del mondo. Patrick è un personaggio meno visibile e apparentemente più pacato. Nato a Évreux in Normandia, grande specialista del ghiaccio, “vede”, corteggia e sale centinaia di goulotte e couloir sul Monte Bianco, sulle Grandes Jorasses e nelle Alpi vicine, fino all’Oberland e al Vallese. Una semina che lo porta a collezionare circa 300 vie nuove, spesso estreme e quasi sempre scomode e selvagge. Con François Marsigny sale la Cascata di Nôtre Dame al Brouillard e Divine Providence sul Pilier d’Angle, che diventerà la superclassica granitica di alta difficoltà.
L’addio all’alpinismo estremo di Patrick
Laureato alla Sorbona, uomo colto e sensibile, militante di Mountain Wilderness, Gabarrou è un cattolico praticante e non fa niente per nasconderlo. Anzi. Battezza spesso le sue vie con i nomi dei santi e della Madonna, fregandosene dei giudizi altrui. Durante le guerre balcaniche prende la patente da camionista per portare in Kossovo e in Bosnia gli aiuti raccolti in Francia. Intanto arrampica incessantemente, aprendo grandi vie in posti e con compagni diversi, spesso più giovani di lui. Sembra che per Patrick non esista la vecchiaia e a settant’anni ha ancora l’entusiasmo di un ragazzino. Gli brillano gli occhi. Ma il tempo passa anche per lui, e da pochi mesi ha salutato l’alpinismo estremo regalandosi un’ultima prima sul Picco Luigi Amedeo, nei recessi del Monte Bianco, con le promesse Clément Dumont e Clément Parisse. Tre giorni di salita, una bella sfacchinata e un bivacco in cresta. Niente male per un uomo di 73 anni.
Credo di conoscerlo da quarant’anni e non gli ho mai sentito uscire una parola di dubbio sul valore della montagna. Per lui è come una fede, un appiglio piantato nel cielo. Una volta l’ho incontrato in Valsavarenche mentre si avviava con i clienti verso il Gran Paradiso per la via normale, una delle più facili delle Alpi, e la descriveva ai compagni come un percorso magico, fatato, iniziatico. Patrick aveva già passato i sessanta e avrebbe potuto sembrare una messa in scena, ma non era così. Lui ci credeva davvero, e ci crede ancora. Ci crederà sempre, anche quando non potrà più andarci.