Il recupero della lastra con i fossili © Facebook museostorianaturale_milanoUn ecosistema fossilizzato, risalente a circa 280 milioni di anni fa, è stato scoperto nel Parco delle Orobie Valtellinesi, in provincia di Sondrio. Si tratta di un sito che conserva orme di anfibi e rettili, tracce di piante, semi, impronte di pelle e persino segni lasciati da gocce di pioggia, preservati su lastre di arenaria.
Il ritrovamento è emerso grazie alla progressiva fusione di neve e ghiaccio, dovuta ai cambiamenti climatici. I primi reperti, recuperati a 3000 metri di altitudine attraverso un'operazione supportata da elicottero, sono stati presentati per la prima volta al Museo di Storia Naturale di Milano.
La scoperta
La scoperta è stata fatta casualmente da Claudia Steffensen, un'escursionista di Lovero (Sondrio), e documentata dal fotografo naturalista Elio Della Ferrera. Lo studio scientifico del sito è stato condotto da Cristiano Dal Sasso, paleontologo del Museo di Storia Naturale di Milano, insieme al geologo Ausonio Ronchi dell’Università di Pavia e all’icnologo Lorenzo Marchetti del Museo di Storia Naturale di Berlino.
Gli esperti hanno identificato orme di tetrapodi, tra cui anfibi e rettili, e di invertebrati come insetti e artropodi, organizzate spesso in piste che risalgono al Permiano, l’ultimo periodo dell’era Paleozoica. Secondo Dal Sasso, alcune delle orme più grandi appartenevano a animali lunghi fino a 2-3 metri, benché i dinosauri non fossero ancora comparsi.
Il sito presenta una straordinaria varietà di impronte, attribuite a almeno cinque diverse icnospecie. Questo permetterà agli studiosi di ricostruire accuratamente l’antico ambiente e la biodiversità del periodo. Come spiegato da Ronchi, queste tracce si formarono lungo margini di fiumi e laghi stagionali, quando sabbie e fanghi umidi furono esposti al sole estivo che li consolidò, proteggendoli successivamente con nuovi strati di sedimenti.
La finissima grana delle arenarie ha consentito una conservazione eccezionale, evidenziando dettagli come impronte di polpastrelli e texture della pelle. Marchetti sottolinea che la qualità e la varietà delle tracce sono superiori a quelle osservate in altri siti coevi del settore orobico e bresciano, offrendo uno straordinario contributo alla comprensione della paleo-biodiversità di quell’epoca.