Nureyev, alias Manolo

Maurizio Zanolla, in arte Manolo, nasce a Feltre nel 1958. È un ragazzo inquieto, figlio di tempi ribelli. Inizia ad arrampicare sulle Prealpi Bellunesi e nelle Pale di San Martino, svelando uno stile di rara bellezza: la sua scalata è una danza verticale. Gli amici lo chiamano il Mago per la capacità di leggere la roccia e inventare linee impossibili, immaginando anche gli appigli che non si vedono, o non esistono del tutto. Lui la definisce “intelligenza motoria”: il cervello interroga la parete e il corpo inventa le risposte. Come tutti gli artisti vive di ispirazioni passeggere, cerca la perfezione del gesto e non si accontenta quasi mai dei risultati. Per il Mago ogni via nuova è un viaggio molto personale nei misteri della roccia e della mente umana.


Si impone all’attenzione del mondo alpinistico liberando alcune vie dolomitiche come la Carlesso e la Cassin alla Torre Trieste, nel gruppo del Civetta, e ripetendo poi con Mariacher, Iovane e Pederiva la temuta via Attraverso il pesce sulla parete sud della Marmolada. Negli stessi anni apre vie estreme con pochissimi chiodi, spingendo la scalata dolomitica ai vertici mondiali. Mostra il talento sul Monte Totoga, dove nel 1981 scala Il mattino dei maghi, exploit assoluto per l’epoca: nono grado superiore. L’atteggiamento riservato e controcorrente resiste alla notorietà dei primi anni Novanta, quando gira l’Italia con un orologio al polso per scalare i monumenti del Bel Paese sotto gli obiettivi delle telecamere. Tutti li vedono, nessuno sa davvero chi sia. Ormai è il più famoso scalatore italiano, ma difende la libera ricerca. Più volte sfiora il dodicesimo grado, alternando grandi itinerari sulle sue Pale a durissime vie in posti nascosti. I ripetitori stentano a trovarle e spesso non riescono a salirle.


Ama i muri assolati che portano in cima al Sass Maòr e nel 1993 torna a dare un’occhiata a sinistra della Via Biasin. Si cala dalla vetta e attrezza con il trapano e gli spit (pochi, nel suo stile) un itinerario spettacolare, più o meno come si fa in falesia per preparare le vie sportive. Racconta che gli strapiombi sono così aggettanti che, per rientrare in parete con la corda doppia, è costretto a bucare la roccia. Il 21 settembre, quando l’estate lascia il posto all’autunno, sale in parete con Walter Bellotto, a liberare la via. Forse intravede la propria ombra che danza nel vuoto sul muro dorato, così nasce Nureyev, decimo grado inferiore.


Questa volta il Mago cerca e trova la profanazione, per tacitare gli invidiosi e i poveri di fantasia: «Qualunque cosa faccia sono comunque criticato – spiega in un’intervista ad Antonella Giacomini. Se vado slegato mi accusano di incitare la gente al suicidio, se chiodo lontano mi dicono che le mie vie sono pericolose…Ora più che mai sono convinto che arrampicare significhi essere liberi e non m’interessa quello che diranno. Per me Nureyev è probabilmente la via più bella delle Dolomiti; è là e chiunque può andare a provarla, se crede».

La Cima della Madonna e, a destra il Sass Maor, con la sua verticale parete est © Andrea Greci