Una pillola di storia dell’alpinismo, per terminare in maniera consapevole – almeno con la memoria – il mese di luglio e iniziare quello di agosto. Novant’anni fa, tra il 31 luglio e il 1° agosto del 1931,
veniva salita la prima delle tre grandi Nord delle Alpi, quella del Cervino. Una parete mitica, tetra e repulsiva,
1100 metri di dislivello dalla crepaccia terminale alla vetta, che a quei tempi costituiva uno dei maggiori “problemi” alpinistici e che faceva parte dei sogni segreti dei migliori scalatori europei.Bravi sul ghiaccio e sul terreno misto.
Autori dell’impresa, furono due giovani studenti iscritti alla Facoltà di Ingegneria di Monaco di Baviera,
Franz (classe 1904) e Toni (classe 1909) Schmid, soci del Deutscher Alpenverein e dell’elitario Alpenkränzchen Berggeist, oltre che esponenti della cosiddetta Scuola di Monaco.
I due ragazzi erano forti e determinati. Solo cinque settimane prima, Franz era riuscito a salire con Hans Hertl la parete nord dell’Ortles, un’impresa che aveva fatto scalpore. La modalità della loro ascensione sul Cervino si iscrive in pieno nello stile dell’epoca:
i due fratelli arrivarono a Zermatt in bicicletta il 27 luglio, studiarono con cura la parete e infine abbandonarono la loro tenda da bivacco nella notte tra il 30 e il 31 luglio, diretti all’attacco della Nord. Non prima di aver lasciato sul posto un biglietto con i loro nomi, la data e l’indicazione della destinazione. Avevano con loro due corde da 40 metri (di canapa, ovviamente), una quindicina di chiodi da roccia e da ghiaccio, moschettoni, piccozza e ramponi, due sacchi da bivacco in tessuto gommato, indumenti e cibo.
Franz e Toni Schmid a Zermatt, dopo la scalata © Foto tratta da Rainer Rettner, Eiger. Trionfi e tragedie, 1932-1938, Corbaccio, Milano 2010
Un bivacco in piedi a 4150 metri
Superata la
Hörnlihütte e il difficile ghiacciaio che dà accesso alla parete, attaccarono il cono di neve e continuarono nel ripido canale che s’innalza verso destra. Dopo una giornata complicata su difficile terreno misto, in lotta contro evidenti rischi oggettivi (caduta di pietre dall’alto) e lunghi tratti di percorso difficilmente proteggibili, bivaccarono nel gelo, in posizione precaria (in piedi), a quota 4150.
Il mattino successivo, Franz e Toni ripresero la scalata, che si rivelò sempre difficile, ripida, con tratti molto esposti e con scarsissime possibilità di realizzare una qualche forma di assicurazione efficace (basti pensare all’attrezzatura dell’epoca). Come dire che su quella parete non era ammesso il minimo passo sbagliato. In più, presto ci si mise pure di mezzo il maltempo, con grandine e fulmini (una vera e propria tempesta di elettricità).
Flagellati dalla bufera
i due fratelli di Monaco
arrivarono sulla vetta alle 2 del pomeriggio del 1° agosto, dopo aver trascorso 34 ore in parete. Attesero che la bufera si placasse e
poi divallarono lungo la cresta dell’Hörnli fino alla Solvayhütte, dove rimasero per ben 34 ore in attesa di un miglioramento del tempo. Riuscirono infine a rientrare sani e salvi a Zermatt, dove furono accolti con gli onori che meritavano. D’altra parte, la scalata appena terminata – e che frutterà loro una medaglia d’oro per l’alpinismo ai Giochi Olimpici di Los Angeles nel 1932 –
reggeva senz’altro il paragone con le più grandi ascensioni delle Alpi Occidentali, e soprattutto con le performance di Willo Welzenbach, considerato a quel tempo il numero 1 dell’alpinismo sulle pareti nord. Per la cronaca, ricordiamo che Toni morì il 16 maggio 1932 in un incidente sulla parete nord del Grosse Wiesbachhorn, in Austria, mentre Franz, il più giovane dei due fratelli, è vissuto sino al 1992.
La foto di Franz e Toni Schmid è tratta da Rainer Rettner, Eiger. Trionfi e tragedie, 1932-1938, Corbaccio, Milano 2010