La neve rossa
è un fenomeno naturale in cui la colorazione in tonalità dal rosa al rosso/magenta
è causata dalla presenza di alghe unicellulari. La presenza di alghe accelera
la fusione dei ghiacci e delle nevi, proprio perché la sua colorazione contribuisce ad un maggior assorbimento della radiazione solare e di conseguenza a una maggiore perdita d’acqua da parte delle formazioni glaciali. Da non confondere con i depositi di polvere sahariana, si tratta di un fenomeno ancora poco studiato nelle Alpi,
di cui non si conoscono le cause e le conseguenze.
Mappare la fioritura algale
Anche quest’anno, la Commissione Glaciologica della SAT
ha lanciato un progetto di
Citizen Science per raccogliere dati e informazioni
relativi alla presenza di fenomeni di fioritura algale. In collaborazione con i ricercatori del
Consiglio Nazionale delle Ricerche e dell’Università Bicocca di Milano, l’obiettivo è quello di raccogliere il maggior numero di testimonianze, grazie alle segnalazioni degli alpinisti ed escursionisti che sono sul territorio. In particolare, il progetto si focalizza anche sui tre parchi trentini: il Parco naturale Adamello Brenta Geopark, il parco Nazionale dello Stelvio e il parco Naturale Paneveggio, Pale di San Martino. Ovviamente, le testimonianze fotografiche arrivano anche da altre aree dell’arco alpino. Si pensi al Col Fetita, in Val d’Aosta o al Lagorai.
«Grazie alle foto è possibile è possibile anche distinguere il fenomeno della presenza di alghe, da quello, da noi già segnalato, ovvero la presenza di sabbia sul manto nevoso», spiega Cristian Ferrari, presidente della Commissione Glaciologica della
Società Alpinisti Tridentini.
«La Citizen Science è una modalità di raccolta dati che ci piace molto. Proprio perché, mette in contatto gli scienziati e coloro che su quei territori ci vanno tutti i giorni: ovvero gli escursionisti e gli alpinisti», continua Ferrari.
Grazie ai dati e alle informazioni, sarà possibile realizzare una mappatura del fenomeno che permetterà ai ricercatori di comprendere quali sono le ragioni di questo fenomeno, prima rilevato solo a latitudini più estreme, ad esempio in Groenlandia
. «L’obiettivo è capire anche se può essere imputato all’aumento delle temperature», spiega ancora Ferrari. Sul tema, i ricercatori dell'Università Bicocca avevano già realizzato uno studio pubblicato nel 2020 su
Scientific Reports.