Le Coste Grandi © Marta ZarelliSono in piazza Celestino V di fronte ad un bicchiere di vino bianco, arrivata la sera prima del grande cammino per il Sentiero Italia che attraversa l'Appennino Centrale, cinque regioni e tante montagne. Isernia è l'unica città capoluogo di provincia di tutto il tratto. Non mi era sembrata una bella città, tanto cemento e palazzi anonimi stile anni Settanta, fin quando non mi sono immersa nel centro storico. Lo sguardo è ora alla meravigliosa Fontana della Fraterna, distrutta dal bombardamento del 10 settembre del 1943, ricostruita pezzo per pezzo e posizionata nel luogo dove è possibile ammirarla oggi, una piazza che prima non esisteva, monumento alla memoria delle centinaia di vittime colpite dalle bombe durate il conflitto mondiale. Sul pavimento della piazza linee nere di mattoni su fondo chiaro indicano gli edifici che un tempo si trovavano in quel quartiere della città, per non dimenticare. Sul far della sera il centro storico si anima di quei ritmi tipici della provincia, ci si siede per l'aperitivo e si cammina lungo il corso. Una pizza e a dormire, piena di emozioni e paure per la grande avventura che mi aspetta!
Isernia © Marta ZarelliL'indomani parto dal centro e mi dirigo verso la periferia in direzione est. Grandi vie e traffico mattutino. Dopo una grande rotatoria ci si immerge nella campagna circostante e passando di fronte alla sede dell'Università degli Studi del Matese ripenso al miracolo del ritrovamento di uno dei reperti archeologici più importanti d'Italia, avvenuto poco fuori città nel 1978, in un giacimento preistorico denominato La Pineta. Si tratta di un piccolo dente da latte appartenuto ad un bambino di circa 5-6 anni e datato a 586.000 anni dal presente. Un'epoca, quella del Paleolitico Inferiore nella quale in questi territori si sfruttava l'orso per il recupero della pelliccia, avveniva la macellazione a scopo alimentare (in particolare di bisonti e rinoceronti) ed era attiva la produzione e l’utilizzo delle piccole schegge in selce, per la creazione di utensili e armi.
Pesche © Marta ZarelliAssorta in un mondo ormai studiato dall'archeologia sperimentale arrivo alle pendici del piccolo borgo medioevale di Pesche, addossato al pendio del monte.
Risalendo scale e stradine che si fanno largo tra i palazzi si giunge nella parte alta del borgo, apice del castello, dalla quale si apre un panorama che spazia dalla conca d'Isernia alle montagne circostanti: a sud il massiccio dei Monti del Matese che raggiungono la massima elevazione con il Monte Miletto (2050 m), cima più alta del Molise e a ovest-nord ovest l’imponente gruppo dei Monti della Meta, sottogruppo dei Monti Marsicani che, nella loro sezione meridionale, prendono il nome di Mainarde, limite meridionale dell’Appennino Abruzzese.
Le Mainarde © Marta ZarelliLascio il borgo e proseguo in direzione nord per immergermi nella natura della Riserva Naturale Orientata di Pesche in un paesaggio caratterizzato da una vegetazione mesofila a prevalenza di ginestre, cisto e lecci. Poco oltre si apre il paesaggio del Molise contadino: praterie, caratterizzate da mulattiere, delimitate da muretti a secco e arbusti di bianco spino o prugnolo selvatico, e piccoli borghi isolati. Si arriva al Rifugio Fonte Majuri, cuore della riserva. Incontro due forestali, facciamo due chiacchiere e mi mostrano la storica fontana di fine Settecento, poco distante, e segnalano la presenza del tritone. Dopo alcune precisazioni sullo skyline dei monti circostanti continuo nel mio cammino.
Gheppio con preda © Wikimedia CommonsIl sentiero continua in un bosco di faggi, sono oltre i 1000 metri di altitudine, è quasi inverno e gli alberi sono nudi e si preparano al riposo vegetativo. Il terreno è coperto da una coltre di foglie secche, tutto sembra magico…anche la vista di un piccolo branco di cinghiali che per fortuna scappano spaventati al rumore dei miei passi. Sebbene a poca distanza dalla città di Isernia, molti animali popolano la riserva in una zona di transizione, sia dal punto di vista morfologico che naturalistico, in cui l’attività agricola delle aree collinari incontra il sistema montano formato per lo più dal bosco e dal pascolo. Lepri, tassi, martore, donnole, faine, volpi e scoiattoli dominano i boschi mentre le praterie sono terreno di caccia di poiane e gheppi.
Cappella di Santa Lucia © Marta ZarelliUscita dalla riserva procedo su mulattiera con uno sguardo continuo sulle Mainarde, ammantate dalla prima neve della stagione. Il sole splende alto e arrivo alla Cappella di Santa Lucia per una breve pausa. Il panorama è sorprendente, il luogo religioso si eleva sulle Coste Grandi con ripidi precipizi sulla valle. La chiesetta custodisce il dipinto di Santa Lucia, legato a storie di pastori che popolavano questi pascoli e vivevano la montagna fino al secolo scorso. Un luogo di pace immerso nel verde della natura.
Ruderi a San Leo © Marta ZarelliContinuo su piccoli sentieri che attraversano praterie, pascoli e il brullo Monte Pietrereie. Il piccolo paese di San Leo mi dà il benvenuto nel territorio di Carovilli, un piccolo borgo con edifici in pietra arenaria, alcuni distrutti e pericolanti, altri ristrutturati finemente ma con infissi e porte chiuse. Sembra disabitato. Poco dopo passo vicino ad un cartello informativo che segnala l’attraversamento del Regio Tratturo Castel di Sangro-Lucera, un’importante via di comunicazione in cui transitavano animali e persone, in un movimento stagionale, dalla montagna alle pianure pugliesi prima dell’inverno per fare ritorno a fine primavera. Immagino allora il borgo di San Leo a quel tempo, fino alla metà del secolo scorso, quando si viveva in campagna grazie alla presenza di passaggi su queste importanti vie che collegavano l’Abruzzo alla Puglia. A riprova di questo poco oltre mi fermo davanti alla Chiesa tratturale di San Domenico, utilizzata prima come lazzaretto per accogliere le genti malate di peste di Carovilli e poi come domus hospitalis, ovvero punto di accoglienza per i pastori e le loro greggi. Nel prato antistante emerge una grande croce stazionaria, una delle tante che si trovano in Molise, girando intorno alla quale si guadagnava l’indulgenza. Dal piccolo poggio, dove ancora oggi si vedono ovini al pascolo intorno alla chiesa, proseguo per il piccolo borgo di Carovilli, ormai a vista, uno di quei piccoli paesi in cui basta avvicinarsi al bar per far partire sguardi e chiacchiere degli anziani che qui passano i loro pomeriggi, tra un bicchiere di vino e una partita a carte, a presidio della piazzetta…e dei viandanti sul Sentiero Italia.
Scopri la tappa Q10 del Sentiero Italia CAI da Isernia a Carovilli.
Chiesa di San Domenico, Carovilli © Marta Zarelli