Nanga Parbat © Wikimedia CommonsOgni paese aveva il suo Ottomila da conquistare, e per qualcuno stava diventando un incubo. I tedeschi avevano già fallito due volte sul Nanga Parbat, la loro “montagna del destino”, ma ormai era la sfida della nazione e non intendevano rinunciare.
Il Nanga è l'unico Ottomila del Kashmir, altissimo sulla valle dell’Indo. Significa Montagna Nuda; è una cima bella e quasi irresistibile, ma i versanti sono spazzati dalle valanghe. Nel 1932 i pionieri tedeschi sono stati scacciati dal cattivo tempo e nel 1934 la spedizione germanica è finita in tragedia con la morte di alpinisti celebri come Alfred Drexel, Willy Merkl, Uli Wieland e soprattutto Willo Welzenbach, grande ghiacciatore e inventore della scala delle difficoltà. Morti anche sei sherpa. Una carneficina.
Tornano nel 1937, sotto gli auspici del partito nazista, per l’orgoglio e la gloria della nazione. Hanno molta pressione sulle spalle, anche perché nessuno ha ancora scalato una cima di ottomila metri e sarebbe una straordinaria vittoria per il Reich. L’emblema della forza e dell’invincibilità. Il 22 maggio gli alpinisti sono sulla montagna, ma il meteo è pessimo. Il 7 giugno raggiungono la quota del campo 4, dove è difficile sia resistere che procedere. Troppa neve, troppe valanghe, e continua a nevicare appesantendo i pendii. L’11 giugno il campo viene spostato in posizione più certa, ma di certa c’è solo la precarietà di essere lassù. Gli sherpa si rifiutano di andare avanti perché pensano sia troppo rischioso, e purtroppo hanno ragione: una gigantesca valanga colpisce e annienta il campo nella notte tra il 14 e il 15 giugno, sorprendendo nel sonno sette membri della spedizione e nove portatori d’alta quota. Muoiono in sedici: i tedeschi Karl Wien, leader della spedizione, Adolf Göttner, Hans Hartmann, Günther Hepp, Peter Müllritter e Martin Pfeffer, l’austriaco Rupert Fankhauser e gli sherpa Pasang Norbu, Chong Karma, Karmi, Gyaljen Monjo, Mingma Tshering, Nima Tshering I, Nima Tshering II, Ang Tshering II e Tigmay. Si salvano solo gli scienziati Cameron Ulrich Lufte e Carl Troll, fortunatamente impegnati nelle ricerche ai campi inferiori. Quando i superstiti salgono in soccorso non trovano più nessuno.
Con quelli del 1934, ormai i morti si contano a decine e non è nemmeno possibile dar loro una sepoltura. Restano nel ghiaccio per sempre. A questo punto il Nanga Parbat è davvero la cima maledetta dei tedeschi, e anche la loro ossessione. Deve passare un’altra guerra prima che la nazione si rimetta in piedi e ritenti la scalata negli anni Cinquanta, quando parte ufficialmente la corsa all’Himalaya e i francesi salgono il primo Ottomila: l’Annapurna. Paradossalmente sarà un austriaco a raggiungere la cima del Nanga: il leggendario Hermann Buhl.
È l’anno dell’Everest, il 1953. I teutonici affrontano la montagna con mezzi pesanti come sempre, s’impegnano, si scontrano, rischiano tutto eppure stanno per fallire quando il piccolo Hermann spicca il volo firmando un’impresa che più che alla storia appartiene all’utopia, al sogno, forse alla follia. La solitaria di Buhl, al tempo incompresa e sottostimata come le visioni troppo grandi, è equiparabile alla Nona di Beethoven, al primo trapianto di cuore, alla traversata per mare di Colombo. Immaginate un uomo magro, coperto di strati di lana e tela sommariamente imbottiti, fragile come piuma nell’oceano. S’avventura indifeso nella zona proibita, dove la scienza predice morte quasi certa senza l’ossigeno, e al tramonto del 3 luglio 1953 è in vetta al Nanga. È un condannato perché nessuno è mai stato lassù, nessuno è mai stato da solo a ottomila metri e nessuno s’illuderebbe di tornare. Scende alle ultime luci, ossessionato dalle allucinazioni; vede l’ombra di spiriti erranti e non più mortali, la sua, sempre più lunga sull’oceano di neve. Ci parla insieme, parla a sé stesso, delira, s’appoggia per respirare, dorme in piedi come un cavallo e all’alba riparte con due compresse di Pervitin in bocca, l’ultima sorgente.
Quando l’ombra magra riprende forma sotto il sole, Hermann sa finalmente che rivedrà la sua bambina.