Morte di un gufo, di Glyn Carr

Abercrombie Lewker torna con un nuovo caso, l'odioso omicidio di un boy-scout fra le meravigliose falesie del Galles. Un libro alla Agatha Christie, che tiene col fiato sospeso fino alla fine.

Una mente brillante e segreti pericolosi che riemergono da un passato scabroso. L’omicidio odioso di un ragazzo, ma anche storie d’amore dalle pieghe impreviste. E tutto intorno le maestose montagne del Galles, impervie, oscure, ma capaci di accogliere tutte le sfumature dei molteplici sentimenti in scena. Sono gli ingredienti dell’ultimo giallo di Glyn Carr, Morte di un gufo (pp. 272, 19,00 euro, Mulatero 2023), tradotto da Paola Mazzarelli, l’ottavo di una fortunata serie riscoperta dal giornalista Leonardo Bizzaro. A lui dobbiamo il merito di aver fatto conoscere in Italia uno scrittore delizioso come Glyn Carr, pseudonimo scelto dal prolifico autore inglese Frank Showell Syles per pubblicare i numerosi gialli che avevano per protagonista Abercrombie Lewker, attore shakespeariano di fama con un passato nei servizi segreti britannici durante la Seconda guerra mondiale e un incredibile intuito investigativo. Sono quasi una ventina quelli della serie (sull’impressionante numero di oltre 160 opere che spaziano dal romanzo d’avventura alla saggistica, per adulti e bambini). Carr, ex ufficiale della Royal Navy durante la guerra, era anche alpinista che nei primi anni Cinquanta guidò perfino alcune spedizioni in Himalaya e nell’Artico, per questo riesce a essere molto preciso nelle descrizioni di attività in ambiente montano. Se nel precedente libro, Un corpo nel crepaccio, avevamo visto la sua penna all’opera con un omicidio scoperto durante un’uscita scialpinistica, qui siamo piuttosto alle prese con l’escursionismo e l’arrampicata. Protagonisti sono un gruppo di boy-scout (associazione nata grazie al connazionale Robert Baden-Powell neanche 50 anni prima rispetto a quando fu scritto il libro, nel 1956) radunato nella Tryfan Valley, al cospetto delle più belle falesie del Galles, che Carr ben conosceva, abitando lì vicino. I più grandi devono sostenere un corso di alpinismo: fra di loro ci sono ragazzi difficili che istruttori caparbi e amorevoli cercano di aiutare fornendo loro l’ancora di una ferrea disciplina dal sapore militare, fatta però di impegno e dedizione verso il prossimo.

Siamo nel secondo dopoguerra, il conflitto è finito, ma ancora non sono sopiti i ricordi di quel periodo cupo: relazioni e amicizie nate allora si erano saldate per sempre in nome del comune istinto di sopravvivenza e degli ideali che schierarono ciascuno dalla parte che riteneva giusta. Accade quindi che durante l’attendamento uno degli istruttori inviti il suo vecchio amico Lewker per raccontare ai ragazzi la sua recente esperienza himalayana, visto che per una fortunata coincidenza si trova in villeggiatura lì vicino insieme alla paziente moglie. L’imponente uomo si presenta con i due attori di spicco della sua compagnia, suoi ospiti, che fra l’altro sono alle prese con la burrascosa scelta di sposarsi, ma al termine del suo discorso entra trafelato un escursionista che dichiara di aver trovato un ragazzo morto sulla montagna. È sera tardi e quel “gufo” non dovrebbe trovarsi lì. Tutto fa pensare a un incidente causato da inesperienza, ma Lewker intuisce subito che non è così. Cosa è successo davvero? Per scoprirlo, insieme ai due investigatori di Scotland Yard che subito gli si affiancano, Sir Ab dovrà prima sciogliere la matassa che annoda le vite dei suoi compagni di avventura, storie che affondano nella guerra le loro origini e le loro ragioni profonde. Le indagini passeranno spesso dal Pen-y-Gwryd, il rifugio ai piedi dello Snowdon dove qualche anno prima delle vicende narrate Edmund Hillary e Tenzing Norgay furono realmente ospitati durante l’allenamento per la spedizione all’Everest del 1953.

Il giallo di ambientazione montana è un genere che ha preso piede quasi in sordina, ma con successo crescente, come dimostrano anche i fortunati romanzi di Enrico Camanni che hanno per protagonista l’ispettore Nanni Settembrini, e tutta la collana “Brividi” che Mulatero ha aperto pubblicando Carr. Lo pseudonimo era un omaggio al coevo scrittore statunitense John Dickson Carr, maestro del cosiddetto “enigma della camera chiusa”, particolare varietà di polizieschi in cui il delitto sembra impossibile. Ma la tecnica narrativa basata sull’unità aristotelica di tempo, spazio e luogo ricorda molto quella che si apprezza in Agatha Christie, la cui vita si incrocia in parte, temporalmente, con quella di Carr, più giovane di lei di una ventina d’anni, ma morto quasi centenario nel 2005, come pure i gesti e le espressioni squisitamente britanniche: motivo per cui nel giro di poche pagine non si potrà più fare a meno di bere una tazza di tè.