Alpinismo è una parola che abbraccia molte dimensioni diverse, dalle scalate più impegnative sotto il profilo tecnico alle salite in quota, dove la fatica è l'ingrediente principale. L'alpinismo è un'attività dal nome impegnativo, ma che può essere anche molto inclusiva, a patto di non arrendersi agli ostacoli che la volontà deve superare.
Moreno Pesce è un'atleta a cui manca la gamba sinistra, amputata in seguito a un incidente motociclistico. Nato nel 1975 a Noale, in provincia di Venezia, ha sempre frequentato la montagna fin da bambino e oggi macina 50mila chilometri di dislivello positivo l'anno. Recentemente ha salito il vulcano Hvannadalshnjúkur (2110 metri), che con i suoi 2110 metri è la cima più alta dell'Islanda. L’ascesa è avvenuta per lo sperone nord ovest del grande cratere: con i suoi 5 chilometri di diametro, è infatti il più grande vulcano attivo d'Europa dopo l'Etna. La soddisfazione per la salita è stata grande.
Come mai hai scelto l'Islanda?
Abbiamo provato a fare una cosa nuova, avevo già salito il Monte Rosa e altre vette, ma volevo qualcosa di particolare e con Lio De Nes abbiamo pianificato questa piccola spedizione che è stata un grande successo personale. Perché credo che questo viaggio corrisponda a una terza nascita: la mia prima rinascita è stata la nuova vita e questa è la seconda, per la sensazione di appagamento e serenità che mi ha dato questa salita.
Moreno durante la salita per la nord ovest © M.PesceCome si è svolta la salita?
La mia lentezza è bella a livello personale, perché mi permette di osservare al meglio gli ambienti che mi circondano, mi permette di godere della natura. Ma è un problema per chi mi accompagna: l'esposizione prolungata in un certo ambiente, le temperature. E poi ci sono fattori strettamente tecnici: Sotto certe temperature le protesi elettroniche non funzionano, è già successo in passato che qualcuno è dovuto rientrare con l'assistenza. Io vado con protesi che sono meccaniche e così non c'è problema, l'unico inconveniente può riguardare l'olio che è contenuto all'interno della protesi, può indurirsi. Comunque abbiamo trovato condizioni di freddo assolutamente non eccessive: in vetta c'era -10, in basso c'era caldo, ma comunque abbastanza neve. La cima è stata un successo di tutto il team: io ho solo spinto, ma poi ci sono le persone che ci hanno aiutato a montare il campo 1, dove abbiamo dormito. Abbiamo fatto la vetta partendo da 1200 metri, mentre la discesa l'abbiamo fatta tutta in un colpo. È stata un'esperienza bella fisica, molto tosta, ma nello stesso tempo rilassante per come è andata, anche perché abbiamo avuto molte ore di luce. E poi non posso dimenticare la sensazione dell'adrenalina che animava il gruppo, e allo stesso tempo un grande spirito di solidarietà.
La tua disabilità cosa comporta in alpinismo, quanto incide?
Ci sono differenze sostanziali tra gli amputati di coscia, come sono io, e gli amputati di tibia, sotto il ginocchio. Non ho la funzionalità della gamba completa e con la protesi vado solo in appoggio. L'amputazione della gamba è piuttosto alta e quella buona serve anche per riposarsi, per cui le mie uscite sono molto stancanti. Per quanto riguarda le stampelle sono passato a qualcosa di più pesante, in acciaio, dopo un periodo nel quale ero andato alla ricerca della leggerezza. In generale ritengo che la soluzione alla disabilità non debba essere una cosa d'elite. Una protesi, un aiuto devono essere accessibili a tutti. In montagna tutti devono avere la possibilità di avere i mezzi per andare a fare una passeggiata e sapere anche dove andare a recuperare la protesi. Senza che sia un'impresa. Quando sono partito io non c'era nulla. Ora, per fortuna e grazie anche alla sensibilizzazione, è diverso. In tanti così si riscoprono camminatori e sognatori.
Come sei passato dal trekking all'alpinismo?
La mia guida dice che non mi insegna a fare i nodi perché non vuole farmi andare da solo e mi trovo d'accordo con lui. Io voglio che ci sia una guida anche per darmi dei limiti. Detto questo, sono partito come camminatore e un passo alla volta sono cresciuto. Ho vinto la paura del vuoto, mi sono trovato a calpestare dei punti delicati, a camminare sui ghiacciai. Oppure sono andato in parete a scalare. Per me è stato un graduale innalzarsi dell'asticella e ci ho messo degli anni.
Qual è stato il tuo percorso?
Nel 2009 ho iniziato a fare gare di vertical, nel 2015 ho conosciuto la corda e ho iniziato ad arrampicare, nel 2018 ho cominciato ad assaggiare l'alpinismo. Nel 2021 ho raggiunto la Capanna Margherita, ma avevo già fatto il Gran Paradiso e la traversata del ghiacciaio del Monte Bianco. Capanna Margherita è stata la quota più alta da me raggiunta. Lì ho capito che basta avere una mano tesa per riuscire, la guida mi ha dato l'energia giusta. L'ultimo obiettivo è stato un azzardo vinto, è stata la cosa più fisica mai raggiunta.
Prossimi obiettivi?
In Islanda abbiamo parlato di cose belle, anche se adesso bisogna pensare a ristabilirsi. Come obiettivi di cui si è parlato ci sono alcune vie alpinistiche sulle Torri del Vajolet e la Ovest della Marmolada.
In arrapicata sulla Diretta Scoiattoli alla Torre Bassa di Falzarego © M.PesceQuanto tempo ti è servito per trovare la forza di impegnarti nello sport e nelle attività outdoor?
Il 30 agosto 1997 è la data del mio incidente in moto. Avevo 21 anni e pensavo di essere dio in terra, andavo troppo veloce. Non voglio mentire, non voglio fare passare il messaggio che sia tutto facile. I primi due anni non sono state tutti rose e fiori, avere amici e famiglia è stato importantissimo. Perché mi ha permesso di ripartire gradualmente, e poi ho trovato la mia compagna, Antonella. Ora c'è anche Elisa, la mia bambina. Con Antonella ho ripreso la strada dei monti, quindi il nuoto per ricostruirmi il fisico in maniera più completa. Da lì ho preso fiato e confidenza con la montagna e poi a un certo punto un amico in Val di Fassa mi ha fatto vedere il mondo delle gare.
Quanto è importante parlare anche dei momenti difficili?
Nelle amputazioni ci sono situazioni molto differenti: un conto è avere di fronte una persona che ha fatto un incidente, un conto è avere a che fare con la persona motivata che ha deciso di sua iniziativa per l'intervento. Ed è ancora diverso quando qualcuno è stato obbligato a farlo per volere di altri, è una situazione difficile da accettare e capisco chi si porta dietro quella rabbia. A volte io irrido la disabilità per cercare la leggerezza e qualcuno mi fa notare che non è d'accordo. Comunque è sempre un bene parlarne e fare cose. Ora abbiamo creato un gruppo - il Team3gambe- con due ragazzi di Verona e tanti altri si sono identificati in una rinascita vissuta a partire dalla montagna. È qualcosa che mi rende felice: se creiamo un coinvolgimento, diventiamo più efficaci a offrire un messaggio di rinascita, riscossa e rivincita.