Lo scarpone di Pietro Weber © Francesco CestariChe siano teste in ceramica o totem turriti in terracotta dipinta, gli elementi che caratterizzano l'arte fittile di Pietro Weber parlano di una dimensione recondita, eppure immediata, che è tipica del linguaggio simbolico. Così come lo sono le figure rappresentate nelle sue opere, il materiale eletto da Weber è carico di un potere metaforico. Materia antica e sempre presente, la terra rappresenta in molte culture l'origine delle cose ed è spesso stata utilizzata come medium artistico fin dall'antichità. Nel loro ritorno a un’arte più diretta, molti dei grandi artisti del Novecento, tra cui Picasso, Fontana e Ontani, hanno dedicato una parte significativa della loro produzione artistica alla ceramica, rimessa al centro grazie alla ricerca del movimento primitivista.
Oltre a essere l’elemento fondamentale che costituisce le montagne, la terra è un materiale che ben si presta, con la sua malleabile plasticità, a infinite e sempre nuove sperimentazioni. Lo stesso Weber, affascinato dalla libertà d'espressione permessa dalla ceramica, affida la guida della sua ricerca allo stupore generato dal veder realizzarsi un risultato unico, non replicabile. Procedendo senza bozzetti preparatori, dalle mani dell'artista scaturiscono nuove immagini, che recuperano, quasi inconsciamente, elementi naturali: quelli tipici di civiltà passate che l'artista ha raccolto lungo i suoi viaggi, e quelli più intimi che hanno segnato la sua infanzia trascorsa in un paesino di montagna della Val di Non.
Un'opera di Pietro Weber © Francesco CestariDa dove nasce questa dedizione pressoché totale alla ceramica?
Fin da ragazzino disegnavo tanto, poi ho iniziato a utilizzare diversi materiali, dal legno ai tessuti, passando dal vetro e dal cemento. Con il tempo, ho capito che è la materia in quanto tale a giocare un ruolo fondamentale nella mia ricerca. In particolare, la terracotta. La prima volta che decisi di dedicarmi principalmente allo studio di questo materiale, risale al tempo di un mio viaggio in Turchia che feci per realizzare un'opera su commissione. Ci fu qualcosa in quell'occasione, dove potevo ammirare opere fittili di più di duemila anni fa, che entrò fortemente dentro di me e da allora non mi ha più lasciato. Sono passati vent'anni e non ho più smesso di lavorare con questo materiale. La ceramica e la terracotta permettono una libertà pressoché illimitata ed è per questo che risulta sempre attuale e interessante.
Il tuo lavoro si basa molto sulla simbologia, sui totem. Come dialogano con l’ambiente naturale?
Quello simbolico è un linguaggio che, nonostante sia molto antico, ancora oggi è leggibile da chiunque. È diretto e semplice, quindi accessibile a tutti. Mi piace molto il linguaggio primitivo, lo sento parte di me e del mio approccio, penso che abbia ancora un senso e che meriti d'essere esplorato. Per questo mi diverto a rievocare quel mondo arcaico, manuale, che oggi non c’è più. Mi piace mettere in comunicazione i tre elementi fondamentali, tipici peraltro dell'ambiente montano: quello animale, quello naturale e quello umano. È questo un modo per rimanere vicino all’elemento terra, agli animali, che sono sempre presenti nelle mie opere anche se spesso non in modo esplicito.
Quanto ti influenza il paesaggio montano?
In montagna ci sono nato e ho trascorso la prima infanzia, la dimensione del piccolo paese alpino, quindi, c'entra molto con la mia arte. Il passato mi riporta a dei ricordi fortemente legati alla natura, che era l’elemento principale del gioco, e questa è una cosa che mi è rimasta. Modellando le mie sculture, è come se continuassi a coltivare quel bambino che giocava con la terra. È un modo per rimanere collegato a dei ricordi molto forti e molto intimi, dove il legame tra Uomo e terra è centrale. Le forme delle mie sculture, poi, non seguono un progetto predeterminato, ma nascono da sé, in base alla lavorazione. Non mi piace sapere in anticipo quello che andrò a fare, mi piace piuttosto improvvisare e cercare delle soluzioni strada facendo, che poi nel finale danno dei risultati inaspettati.
Certamente, poi, un'altra influenza è riscontrabile nella serie di torri che compongo con moduli di terracotta. La torre è infatti un elemento tipico dell'architettura montana, come quella dei tanti castelli che popolano le nostre valli. In cima, ci metto sempre una testa, perché è l’Uomo a creare queste strutture.
In passato sei stato definito artigiano del futuro. Qual è il confine tra arte e artigianato?
Le due cose sono legate. L’artigianato, va da sé, ha più a che fare con la manualità, il saper gestire il materiale con cui ti esprimi. È la conoscenza della materia a contraddistinguere un bravo artigiano. La differenza con l'arte, però, sta in quello che uno fa, sta nel lasciare una propria impronta. Mentre l’artigiano riprende forme esistenti, le replica, e fa spesso cose utili a qualcosa, l’artista non guarda alla praticità. Se proprio c'è una qualche utilità è lo stimolo al pensiero. A tal proposito, mi viene in mente una storia particolare. Qualche anno fa partecipai a una mostra sul tema delle calzature. Esposte, insieme alle scarpe di vari attori famosi come Totò, Madonna e Russell Crowe, c'erano le opere di molti artisti importanti come ad esempio Andy Warhol, che inizialmente progettava scarpe, e Renato Guttuso. Per l’occasione avevo trovato su un vecchio libro un modello di scarpone, tipico dei castagnari, con una sorta di rampone utilizzato proprio per aprire le castagne. Ecco, io lo riproposi in terracotta.
Hai anche viaggiato molto. C'è qualche luogo che ti ha influenzato particolarmente?
Sicuramente la Turchia, con i suoi musei e le opere di terracotta antiche di millenni, eppure estremamente contemporanee. C’è poi stata l’esperienza della Biennale d'arte di Dakar, in Senegal, dove ho trascorso alcuni mesi. È stato un modo per entrare in contatto con vari artisti e conoscere le realtà artistiche locali del Senegal, dove l'arte è vista come una cosa normale, quotidiana e soprattutto segnata dalla spontaneità. Ogni paese che ho visitato mi ha lasciato qualcosa, ma mai come le simbologie, gli elementi decorativi visti in Senegal. Certi profili, così definiti, mi sono rimasti impressi, quasi a livello inconscio, tanto che successivamente sono riemersi in alcune mie opere.
Com’è fare arte contemporanea in un paesino della Val di Non?
Alla fine, il posto in cui uno si trova non conta più di tanto. Chiaramente uno vive in un posto ma può anche muoversi. Nel mondo dell'arte, poi, è importante tenersi un po’ aggiornati. Al giorno d’oggi, comunque, ci sono molti sistemi ed è anche più agevole rispetto a un tempo. Sta poi al singolo sfruttare queste leve. Al tempo stesso, il mondo dell’arte rischia di essere fin troppo caotico. Avere l'occasione di staccare, quindi, può essere un vantaggio così da non lasciarsi influenzare troppo dalle mode del momento, e mantenere una ricerca più libera e obiettiva.
Pietro Weber © Francesco Cestari