Foglie d'erba, 2023, Lindenwood, acryl color © Archivio Willy VerginerWilly Verginer, artista gardenese conosciuto a livello internazionale per le sue sculture che paiono intinte in uno specchio di vernice, con la sua arte coltiva un dialogo tra due forme d'arte: la pittura e la scultura. Forte di una grande maestria nel lavorare il legno, che deriva dalla formazione presso la scuola locale, Verginer reinterpreta la tradizione proponendo opere che interrogano lo spettatore e gli lasciano la possibilità dell’interpretazione. Soggetto ricorrente nelle rappresentazioni di Verginer sono, infatti, situazioni paradossali, create proprio con l’intento di stimolare sia lo sguardo che il pensiero. Uno dei tratti distintivi della produzione di Verginer è il taglio colorato, con cui l’artista marca le sue sculture. Un modo concreto, questo, per arricchire di ulteriori possibilità narrative l’opera. Amante delle montagne e del contatto diretto con la natura che lo circonda, lo scultore è da anni impegnato in un percorso che indaga i temi dell’ecologia. Su tutti, il mondo selvatico, inteso come essenziale, incolto e arcaico. A contribuire alla ricerca artistica di Verginer, un paesaggio dolomitico capace di insegnare il senso dell’estetica.
Che cosa rappresenta per te la montagna?
Personalmente, sono molto legato alla montagna. Se non riesco a fare le mie escursioni in estate, mi sembra un'estate persa. E ne sono legato, credo, anche artisticamente. Ad esempio, oltre vent’anni fa mi ero messo a scolpire delle figure di scalatori. Avevo trovato ispirazione nel libro di Lionel Terray: I conquistatori dell’inutile. I miei erano scalatori spaesati, posti in cima a un monolite di legno. Era un modo per mettere in dubbio l’eroismo tipico del grande alpinismo d’avanguardia. Li rappresentavo tutti storti come a suggerire un altro punto di vista. Più in generale, la montagna con le sue vette resta un simbolo semplice, arcaico. Per me rappresenta il bisogno di elevarsi e raggiungere qualcosa di più alto. E, questo, lo si può intendere sia in termini pratici, nell’alpinismo, sia in termini più metaforici, nella nostra vita.
Come in montagna, anche nella vita di un artista ci sono stagioni diverse?
Sicuramente. Basta guardare alla storia dell’arte, per vedere come ogni artista ha la sua primavera, la sua estate e l’autunno, che porta con sé la maturazione. Poi viene anche il declino invernale, ma, forse, questo lo si vuol vedere un po’ meno. Ci sono pochi artisti, che ancora in tarda età sono capaci di mettere in dubbio il proprio percorso. Spesso, invece, vedo lavori che ricalcano una linea definita, già tracciata, senza portare linfa nuova. Del resto, è una cosa molto naturale, nulla da biasimare.
Il paesaggio che ti circonda influenza la tua produzione artistica?
Più che il paesaggio è la natura a influenzarmi. Certo, la bellezza del paesaggio alpino conta molto nel mio lavoro; se abitassi altrove probabilmente non farei nemmeno l’artista. I temi e i soggetti della mia arte poi sono profondamente legati al paesaggio che mi circonda. Più che altro, quando vivi qui è l’ambiente che ti forma, senza che nemmeno te ne accorgi. Basti pensare, banalmente, alla scelta dei materiali; qui tutto è fatto di legno. A livello di rappresentazione, invece, non credo di esserne influenzato, ha più a che fare con il tipo di materiale che uso.
Che tipo di materiale è il legno?
È un bellissimo materiale, che vive anche dopo essere tagliato. Si muove in continuazione, ha profumi, venature. È bellissimo, e come la pittura molto libero e diretto. Al contrario, con altri materiali come il bronzo si resta comunque legati agli artigiani in fonderia. Al tempo stesso, il legno è un materiale molto contemporaneo, anche nell’architettura ultimamente è stato rivalutato molto. Lo reputo uno dei materiali più nobili.
Che rapporto hai con la scultura gardenese più tradizionale?
Tecnicamente, non mi sento poi così lontano dalla tradizione, che, peraltro, non ho mai rinnegato. L’arte, che spesso viene intravista anche in opere che appartengono all’artigianato, non risiede solamente in una grande maestria o nella sapiente gestione della tecnica. La vera differenza tra arte e artigianato sta nella testa dell’artista. L'arte vive di poesia, messaggi ed emozioni. L’artigianato, tutto questo non lo dà ed è ciò che fa la differenza.
Che rapporto c’è tra figurativo e astratto nel tuo lavoro?
Un rapporto per me molto interessante, e che combina due fasi che contraddistinguono il mio modo di lavorare. C’è la scultura, figurativa, e la pittura più astratta. Anche se non abbandonerei mai la scultura, reputo forse la pittura come la fase più bella. Sono comunque due espressioni che si incontrano in un lavoro unico, dove una non può fare a meno dell’altra. Tuttavia, penso che le mie sculture senza essere dipinte mostrino solamente una parte minima del loro potenziale. Il colore aggiunge veramente tanto. La pittura accompagna tutto il mio processo creativo. Già a livello di schizzo e di ideazione mi chiedo quale colore userò, e non è nemmeno detto che poi lo mantenga. È un po’ una maturazione, dove la pittura non è solo fase finale ma viene coinvolta fin dall’inizio, prima ancora della scultura.
Tratto distintivo delle tue opere è il taglio colorato. Da dove viene?
Come succede per molte cose, anche questo è il risultato di un percorso. È iniziato tutto durante un periodo in cui mi sono dedicato molto alla pittura. Avevo iniziato ad affiancare alle statue di figure umane dei quadri monocromi, che appendevo poco più in alto. In questo modo, le sculture venivano illuminate da un fascio di luce colorata riflessa dal quadro. È un modo per stimolare la curiosità e lasciare più spazio per l’interrogativo dello spettatore. In seguito, ho iniziato a riprodurre questo taglio di luce sulle sculture direttamente con il colore.
Sei riconosciuto come maestro nel settore: cosa significa essere un punto di riferimento per altri artisti?
Ora, non mi vedo tanto come un punto di riferimento. Tuttavia, per via dei social, che rendono tutto amplificato, si può forse pensarla in questi termini. Oggi, si ha la possibilità di essere sempre aggiornati e di seguire artisti lontani. Un’opportunità, questa, che trent’anni fa non c'era. Ad ogni modo, penso che ciò che conta sia la continuità del lavoro e l’onestà intellettuale del non prendere scorciatoie per inseguire un successo facile ed effimero. Alla fine l’importante è trovarsi bene con il proprio lavoro, e il pubblico lo apprezza.
Willy Verginer © Archivio Willy Verginer