MONTAGNE D’ARTE. ALESSANDRO PIANGIAMORE

La ricerca artistica di Alessandro Piangiamore mira a dare corpo a elementi effimeri. Tra questi anche quelli tipici dell’ambiente montano: vento, gravità e leggerezza.
Fastitocalon, 2008, stampa lambda ritagliata su cartone, cm 123 x 171,5. © Mimmo Di Caro

Enna, con la sua elevazione di quasi mille metri sopra il livello del mare, è un esempio di ambiente montano sui generis. Ben lontano dallo stereotipo di montagna dalle verdi pendici e dalle cime innevate, il paesaggio dell’entroterra siciliano è dominato dalla presenza del vicino e onnipresente vulcano e dalle fitte nebbie invernali. È in questo panorama che cresce e si forma la sensibilità di Alessandro Piangiamore, artista visivo che ancora oggi conserva le fascinazioni del luogo natale e le rielabora con la sua arte.
L’indagine artistica di Piangiamore si sviluppa lungo tracce evanescenti ma costanti, che si ripresentano a distanza di tempo sotto forma di opere e materiali differenti. Il tentativo di fissare e rendere concreti elementi eterei come fiori e vento, così come la ricerca di un equilibrio visivo tra leggerezza e gravità, sono elementi caratterizzanti l’intera produzione dell’artista.

Qual è il tuo rapporto con la montagna?
Sono nato a Enna, un posto che viene definito montagna ma che con l’idea comune di montagna non ha quasi nulla a che fare. Certo, è situata su una rocca e raggiunge circa mille metri sul livello del mare, ma è una montagna anomala, con la sua terra calcarea, gialla, arsa dal sole d’estate e coperta dalla nebbia d’inverno. Il mio rapporto con la montagna non è basato sull’esperienza, ma è prevalentemente immaginifico. Per me la montagna è soprattutto un simbolo, qualcosa di dominante rispetto all’uomo e al paesaggio in cui l’uomo vive. Credo che, così come il mare, anche la montagna risvegli nell’uomo una fascinazione verso il paesaggio, verso una natura che non è perfettibile. Nella pratica dell’essere umano, penso che scalare le montagne, così come esplorare gli abissi, abbia a che fare con un desiderio di conoscenza e di avvicinamento a questa perfezione. Si tratta di un senso di curiosità e di avventura, che porta a spingersi oltre quello che sono i limiti dettati da ciò che si conosce e che rientra nella norma. Forse, anche solo il fatto stesso di osservare la montagna, con la sua spinta verso l’alto, e rapportarsi con essa, ha a che fare con un desiderio di elevazione dell’uomo.

Se la terra è pesante, 2011 Stampa su PVC, ottone, cm 600x300 © Courtesy dell'artista e e di Magazzino-Roma

Parli di limite, dimensione intrinseca all’alpinismo, è una tematica che tocca anche il mondo dell’arte?
Andare oltre il limite può fare parte della ricerca di alcuni artisti, ad esempio utilizzando un materiale in modo estremo. È una dimensione che esiste, certo, ma non la ritengo una condizione necessaria per fare arte. L'artista cerca qualcosa che non esiste e lo fa appropriandosi della realtà, dell'ordinarietà. Addentrandosi in territori spesso sconosciuti, egli si appropria della realtà, in maniera più o meno complessa, e restituisce una visione straordinaria che va oltre il limite della realtà. C’è una sfida, se di sfida si può parlare, e risiede nel rappresentare qualcosa che ancora non si è manifestato. 

Nei tuoi lavori utilizzi materiali tra i più vari, ti senti più vicino a uno in particolare?

No, non ho nessun tipo di predilezione. Per me il materiale in sé è semplicemente un vettore di informazioni. La scelta di utilizzarlo è quindi profondamente funzionale rispetto all’opera che voglio realizzare. Non mi interessa un materiale per via delle sue caratteristiche plastiche, quanto per il valore rappresentativo che porta in sé. Nella serie di opere intitolata ‘Api e petrolio fanno luce’, ad esempio, ho utilizzato residui di candele raccolti tra chiese e persone. Anche in quel caso, la scelta della cera non è dipesa dalle caratteristiche proprie del materiale, ma dal fatto che si trattasse di elementi carichi di un’energia particolare, fatta di momenti unici di silenzio, raccoglimento, celebrazione e intimità.

È, in qualche modo, un tentativo di fermare il tempo della natura? 
Ciò che più contraddistingue il mio lavoro è il tentativo di cristallizzare qualcosa di evanescente. Non è proprio fermare il tempo, ma dare corpo a qualcosa di completamente effimero, che altrimenti sparirebbe. Questa è un’attitudine che ho riconosciuto nel tempo e che è emersa lavorando, senza premeditazione. È percepibile, ad esempio, nel lavoro Tutto il vento che c'è, che è il tentativo di dare corpo a un elemento che è completamente aereo immaginandone la fisicità. Anche in questo caso, a essere stupefacente non è tanto la zolla di terra o il fatto che l’erosione del vento si sia manifestata, e che peraltro abbiamo già visto manifestarsi infinite volte in natura, quanto la storia in sé, l’intenzione che è alla base dell’opera e la narrazione che ne consegue.

Tutto il vento che c’è (Montes) 2013 Terra, vento 20 x 13 x 13 cm e 10 x 13 x 13 cm © Courtesy dell'artista

Il tema della leggerezza e della gravità sono ricorrenti nelle tue opere, cosa ti spinge a indagare in questa direzione? 
È l’assenza di gravità al di fuori della nostra atmosfera che mi ha sempre affascinato in modo incredibile; mi sembra sia un modo efficace per relativizzare un po’ la posizione del nostro piccolo mondo nell’universo. Al tempo stesso, forse, leggerezza e gravità hanno a che fare con un aspetto del mio carattere, e, in effetti, sembrano tornare in molte delle mie opere, ma è un aspetto che non pianifico. Un esempio, ne è stata l’installazione del 2011 Se la terra è pesante, che consisteva in una tenda raffigurante un ghiacciaio. L’intenzione era quella di trasmettere la sensazione di leggerezza attraverso l’immagine di qualcosa notoriamente pesante. E questa dicotomia è presente anche nella serie più recente, che ha come titolo Qualche uccello si perde nel cielo, che consiste in stampe realizzate attraverso l’incisione e il monotipo nelle quali sono evocati dei cieli stellati dai quali piovono piume. Qui l’idea di leggerezza è legata al volo e viene presentata come fosse dalla gravità.

Per chiudere, non posso non chiederti quale rapporto hai con il vulcano, capace di invertire la gravità e portare la terra in cielo… 
Il vulcano è sempre stato una presenza fissa nel mio orizzonte visivo. Mi affascina la sua potenza inaudita, la velocità con cui è capace di risvegliarsi e distruggere. Al tempo stesso, mi affascina il fatalismo della scelta di vivere alle sue pendici, l’accettazione del fatto che non ci si può fare nulla. L’Etna, così come altri vulcani, è presente in alcune mie opere dove ne accosto l’immagine ai coralli che riprendono i fumi e il plume vulcanico. A differenza del vulcano, il corallo marino per raggiungere quella forma ha bisogno di moltissimo tempo e grande tranquillità. Sono due attitudini opposte che, tuttavia, sembrano convivere perfettamente.

Alessandro Piangiamore