La montagna ha sete

La meteorologa Renata Pelosini commenta i dati sull’elevata siccità dello scorso inverno che, accompagnata da alte temperature estive, potrebbe avere pesanti impatti ambientali e conseguenze sulla vita e il lavoro degli abitanti delle Terre alte
L’inverno 2021-2022 è stato caratterizzato da precipitazioni decisamente inferiori alla norma su tutto l’arco alpino. Il deficit complessivo si attesta intorno al 60%, con punte dell’80-90% in Piemonte. A confermare, numeri alla mano, una stagione invernale caratterizzata da una siccità davvero elevata è la meteorologa Renata Pelosini, Socia Cai e appassionata scialpinista, alla quale abbiamo posto alcune domande su un fenomeno che potrebbe avere importanti ricadute sulla frequentazione della montagna, la vita e il lavoro dei suoi abitanti. Cosa ci dicono i dati degli scorsi mesi sulla siccità invernale, in particolare nel settore alpino? Quali sono state le aree che hanno sofferto di più? «Gli eventi di pioggia dei mesi di aprile, e soprattutto maggio, hanno contributo a riportare l’anomalia negativa di pioggia intorno al 50-60%, ma gli indicatori di siccità mostrano ancora una situazione molto critica, così come le portate dei corsi d’acqua, che continuano a registrare scostamenti negativi fino al 90%, raggiungendo e oltrepassando i valori minimi storici. Anche la quantità di neve complessiva è stata molto inferiore ai valori medi climatologici, con un deficit che va dal 40% al 70% in funzione della quota e della localizzazione. I settori alpini occidentali e sudoccidentali sono stati sicuramente i più penalizzati. Ad oggi l’innevamento è molto scarso al di sotto dei 2500 metri di altitudine, con stazioni che registrano un terzo della neve presente nello stesso periodo del 2021. L’equivalente in acqua della neve presente oggi al suolo, che rappresenta la riserva idrica disponibile per i mesi con maggiore idro-esigenza dal punto di vista agricolo e per mantenere le portate dei fiumi adeguate alla salvaguardia degli ecosistemi, è ai minimi per tutte le Alpi Occidentali, così come i livelli dei laghi e della maggior parte degli invasi artificiali alpini». Negli scorsi decenni ci sono stati altri periodi di siccità invernale così prolungata nelle aree montane italiane? «Altri periodi di siccità invernale si sono registrati negli ultimi 50-60 anni, ma questo risulta uno dei peggiori della classifica. Diciamo tra i primi cinque più siccitosi. L’aspetto più critico è che anche i mesi di marzo e aprile sono stati secchi, cosa che non è successa dopo altri inverni siccitosi. Le nevicate primaverili spesso riportavano la situazione complessiva vicino alla norma e si ricostituivano le riserve idriche per i mesi più caldi, cosa che è mancata quest’anno. Inoltre, l’inverno 2021-2022 è stato caratterizzato da un’anomalia calda di temperatura. Se consideriamo il periodo dicembre-febbraio, l’inverno meteorologico, si può dire che la temperatura media è stata di 3-4°C più elevata della media in molte stazioni delle Alpi Occidentali. La concomitanza dei due fenomeni ha determinato una situazione decisamente anomala per la montagna e gli ecosistemi alpini».
Val di Susa panorama
Panorama della Val di Susa (gennaio 2022) © Luca Tomassone
Il fenomeno potrebbe ripetersi? È legato alla crisi climatica? «Il fenomeno potrebbe ripetersi, anche se è difficile, se non impossibile, dire con quale frequenza. Quello che possiamo sicuramente affermare è che il riscaldamento dell’atmosfera, che sulle Alpi come su tutte le zone di montagna del mondo è superiore a quello globale, determina una maggiore variabilità della circolazione atmosferica, con eventi anomali e “fuori stagione” sempre più frequenti, con sempre più rapidi cambiamenti nelle condizioni meteorologiche da un giorno all’altro, da una settimana ad un’altra. La persistenza delle grandi strutture meteorologiche, che dominavano il periodo tardo invernale sulle Alpi, e la posizione del vortice polare, che consentiva alle perturbazioni atlantiche fredde di susseguirsi nel tardo autunno fino all’inizio dell’inverno, non saranno più regolari: il riscaldamento globale porta dei cambiamenti profondi nella struttura dell’atmosfera e degli oceani, modificandone la circolazione, dunque possiamo contare poco sulla storia e sull’esperienza del passato. Senza dimenticare che la componente nevosa continuerà mediamente a diminuire, a favore della pioggia, sia come quantità sia come estensione areale. Con l’attuale trend di emissioni di gas serra in atmosfera, a metà secolo nevicherà solo alle quote al di sopra dei 2300-2500 metri, e per un periodo più breve». Nei prossimi mesi, quale sarà il volto della montagna, già colpita dalla prolungata siccità invernale? «Laghi, invasi artificiali e fiumi già mostrano gli effetti della siccità e la poca neve disponibile ad oggi per la fusione non sarà in grado di riportare i valori nella norma. La siccità peserà anche sui ghiacciai, che contano soprattutto sulle precipitazioni dei mesi di novembre e dicembre per alimentare la loro massa. Gli ecosistemi nei diversi ambiti pagheranno le conseguenze di habitat modificati e inospitali a causa delle alterazioni nella disponibilità di nutrimento, nella riproduzione, nei comportamenti. Gli incendi boschivi saranno più frequenti e si estenderà l’area e la stagione favorevole al loro innesco e sviluppo. Aumenteranno inoltre le frane da crollo in montagna, a causa dell’aumento dello strato attivo del permafrost e dell’esposizione ai fattori atmosferici di zone usualmente coperte da neve. Per quanto il turismo connesso allo sci alpino sia riuscito in parte a sopportare un’annata con così poca neve, quello dello sci nordico, che si pratica notoriamente a quote più basse, ha visto un arresto delle attività nella maggior parte delle località delle Alpi Occidentali. L’attività estiva in alta montagna dovrà essere oculatamente preparata a causa dello stato dei ghiacciai e le possibili criticità nei rifugi alpini, legate per esempio alla disponibilità dell’acqua, saranno importanti».
Immagine satellitare innevamento
Innevamento sulle Alpi occidentali il 26/01/2021 (sx) e il 26/01/2022 (dx) © Nasa Worldview application - Nasa Earth Observing System Data and Information System
Hanno più impatto i periodi di grande caldo estivo o quelli invernali di siccità? «Diciamo che hanno effetti differenti. I periodi di grande caldo estivo sono spesso accompagnati da condizioni di siccità, alle quali si può far fronte, almeno in parte, con le risorse idriche accumulate durante l’inverno. Più aumenta la durata e l’intensità delle ondate di caldo estive, cosa che è attesa negli scenari climatici futuri, meno efficaci sono gli strumenti per far fronte agli impatti negativi. Sicuramente la concomitanza di siccità invernale e caldo estivo nello stesso anno porta a impatti che si avvicinano a quelli delle grandi catastrofi». In una situazione come quella che si sta profilando, cosa cambia per la vita degli abitanti delle montagne e per i mestieri agro-silvo-pastorali? «Le montagne rappresentano un “hot spot” del cambiamento climatico, un luogo dove il riscaldamento risulta decisamente superiore a quello globale e, nello stesso tempo, un luogo in cui gli effetti del riscaldamento si manifestano in modo più severo e più evidente. Ne risentono gli ecosistemi e le comunità che dipendono da essi, con alterazioni delle condizioni dei pascoli, accorciamento della stagione dell’alpeggio, modifica delle condizioni ideali per gli habitat delle colture di montagna e modifica delle caratteristiche di qualità. Le foreste potranno risentire direttamente o indirettamente delle modificazioni del clima, con aumento della diffusione di patogeni, un indebolimento delle caratteristiche strutturali per far fronte a eventi sempre più estremi. La fauna selvatica necessita di tempi lunghi per adattarsi a condizioni climatiche diverse e alla maggiore variabilità del clima, spesso con tempi diversi da quelli della vegetazione, determinando importanti mismatch. Ma non solo i mestieri agro-silvo-pastorali saranno influenzati dalla scarsità idrica e di neve ma anche il turismo, che rappresenta una risorsa fondamentale per l’economia montana. Si dovrà affrontare un cambiamento del modello di turismo che consuma e sfrutta le risorse naturali a favore di uno che porta a vivere la cura e la protezione della montagna.
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Produzione di energia idroelettrica in Italia nei primi quattro mesi dell’anno dal 2017 al 2022 © Terna
Quali sono gli effetti degli invasi artificiali quasi vuoti nella produzione di energia elettrica? «Sull’intero arco alpino, la disponibilità di acqua sotto forma di neve attualmente è circa il 30-40% della media degli ultimi 12 anni e, in molte regioni, al minimo storico. Le portate dei corsi d’acqua sono ai minimi: il livello del Po presenta deficit estremi in tutte le sezioni di misura, molti bacini e invasi artificiali sono in sofferenza. Si registra già da un paio di mesi una minore capacità di produzione di energia idroelettrica: alcune centrali sono ferme e altre hanno limitato la produzione al 10% della potenza totale. Anche con gli apporti nevosi di inizio maggio non si stima un miglioramento delle condizioni di produzione. Un aspetto spesso trascurato è quello dei conflitti tra gli utilizzatori dell’acqua, sia per usi diversi sia per collocazione geografica più lontana dalle montagne e dalle sorgenti dei fiumi. Vediamo che già oggi le condizioni di siccità si aggravano man mano che si discende, ad esempio, il fiume Po. La scarsità idrica determinerà effetti sulla disponibilità idropotabile e sull’alimentazione a più lungo termine della falda, costringendo tutti a riconoscere l’importanza dell’acqua e della sua conservazione».