Mauro Loss. "C'è molto interesse per l'arrampicata su ghiaccio"

L'alpinista trentino ha recentemente diretto un corso presso la Scuola Graffer. "È un mondo meraviglioso, che si scopre un passo alla volta"
Mauro sulla Hypercoldai © M. Loss

L'arrampicata su ghiaccio sta vivendo un momento di grande popolarità: che sia per la diffusione del dry tooling, pratica che ha aumentato la possibilità di creare molte più linee rispetto alle cascate classiche, o per altri fattori, è impossibile non notare l'elevato numero di praticanti e il "tam tam" social che segue alle nuove realizzazioni. La scuola di alpinismo, scialpinismo e arrampicata libera Giorgio Graffer organizza corsi di arrampicata anche su cascate e l'ultimo lo ha dedicato a Vincenzo Loss, alpinista e figura carismatica dell'istituto. La serie di lezioni è riservata ai soci CAI e il figlio Mauro è stato il direttore del corso. "Mi ha fatto ovviamente piacere vedere che il pensiero è andato a lui, anche se non era un ghiacciatore classico. Quando aveva iniziato a scalare lui [classe 1926, ndr] non c'era una vera e propria specializzazione.  Qui alla scuola ha lasciato un bel ricordo, era una figura di collegamento tra vecchi e giovani".

Negli ultimi anni stiamo assistendo a un aumento dei praticanti?
Effettivamente la sensazione è che ci sia più gente che vuole praticare, i posti più conosciuti sono più frequentati. E se pubblichi qualcosa sui social, nel giro di poco puoi stare sicuro che ci sarà qualcuno che andrà a ripetere la tua via. Il dry ovviamente aiuta un po'. La stagione è molto corta, va da metà dicembre a metà marzo e le "scaldate" possono rendere molte cascate impraticabili anche nel corso dell'inverno. Ma quando si può, c'è molta gente che ci va.

Il progresso tecnologico quanto ha influito sulla diffusione?
È cambiato anche molto il materiale, se penso a come arrampicavano Giancarlo Grassi e compagnia, erano davvero capaci di fare cose impensabili. Ora gli attrezzi aiutano molto, anche a spingere, ma resta una attività che non è per tutti. Ci vuole esperienza, non ti inventi. È vero che la sosta la fai dove vuoi, ma le viti le devi mettere nel ghiaccio, non è banale. E sostanzialmente arrampichi sempre da primo, perché ti assicuri all'altezza della vita. Le difficoltà delle cascate poi crescono in maniera esponenziale, L'aumento del grado non è lineare rispetto a quello che incontri. È un mondo complesso, nel quale migliorare non è immediato.

Per non rovinare le falesie, sarebbe meglio praticare roccia e ghiaccio in siti separati

Poco tempo fa abbiamo sentito Christian Casanova, il quale si è augurato di vedere in futuro maggiore etica tra i praticanti. Denuncia prese segnate con lo spray, buchi fatti ad hoc con il trapano...
Credo che ci sia molto di condivisibile e altrettanto a cui prestare attenzione. A volte ci sono palestre dove il segno lo fai per evitare che picche e ramponi vadano a battere dove non devono. Sappiamo che la roccia soffre più di ogni altra cosa le piccozze e i ramponi, se l'intento è quello di preservare, in ambienti molto frequentati e solo su determinate vie, credo che ci possa stare. Una cosa su cui andrei a porre l'attenzione è il fatto di non mescolare falesie dry e "normali". Lo abbiamo visto alla Vela [a Trento, ndr], la roccia si rovina molto, soprattutto se è calcare. Capita di vedere certe righe, roccia spaccata. Meglio tenere separate le due attività.

Il mondo del ghiaccio è molto variegato: imparare è un processo lento. Insegnare come è?
Non è semplice. Noi ci siamo rivolti a chi ha già un minimo di esperienza e chiediamo un breve curriculum a riprova. Abbiamo sia teoria che pratica, si parte dalla conoscenza dei pericoli, poi si studiano i materiali, la catena di assicurazione. Perché magari gli allievi sanno come si fa una sosta, sono già andati qualche volta, ma non sanno come comportarsi in caso di caduta; noi insegniamo l'autosoccorso. Tra le cautele che cerchiamo di introdurre abbiamo anche l'utilizzo di artva, pala e sonda. Perché in una cascata tendenzialmente non servono, ma nell'avvicinamento invece magari sì. E poi diamo spazio alla storia: capire chi ha aperto una via, quando e come, ti dice qualcosa anche su come affrontarla.

Mauro in azione al Passo del Tonale © M. Loss

Nella tua esperienza c'è una via che ti è rimasta particolarmente a cuore?
Sì. Non era molto che praticavo, eravamo andati nel vallone di Remir [Val Daone, ndr] per fare una cascata che si chiama Salmonata. Le condizioni però non erano buone. Girammo un bel po', ma non trovavamo nient'altro, fino a quando non vidi due zaini alla base di un'altra cascata. Con il mio compagno proposi di farla, pur non conoscendola. Ci buttammo su, lui sapeva di cosa si trattasse ma io no, non mi disse che si trattava di Sendero Luminoso. È una via di quinto, ben più difficile del mio livello del tempo. Grazie al fatto che non avevo preconcetti ero riuscito a salire dove altrimenti non mi sarei azzardato. È stata la chiave di volta che mi ha fatto fare un salto in avanti nella scalata su ghiaccio. Ovviamente non voglio incitare all'incoscienza ed è bene essere sempre informati su cosa si va a fare, soprattutto se non si è accompagnati da qualcuno che è più esperto.