Matteo Della Bordella: "Con il CAI Eagle Team a caccia di sogni"

Il capo spedizione sarà all'ennesima avventura patagonica. "Qua comanda il meteo, ma volevo portare i ragazzi a innamorarsi di queste montagne"
Matteo Della Bordella

Sono partiti pochi giorni fa i 6 componenti del CAI Eagle Team e si sono riuniti a El Chalten, dove prenderanno parte alla spedizione conclusiva del progetto di Club Alpino Italiano e Club Alpino Accademico Italiano, guidato da Matteo Della Bordella. L'alpinista di Varese è in Patagonia dall'inizio del 2025, in una terra che conosce bene – 14 le sue spedizioni - e che lo ha formato profondamente nei 15 anni di frequentazione. Ad attendere Matteo e i suoi ragazzi ci sono alcune cime tra le più iconiche dell'alpinismo mondiale. Della Bordella in particolare si cimenterà con la nord-ovest del Cerro Piergiorgio, una montagna di grande significato per i Ragni di Lecco e non solo.


Perché è stata scelta la Patagonia per concludere il progetto?

È la conclusione logica del percorso fatto dai ragazzi. La Patagonia di oggi ha una logistica complicata, ma che comunque è una via di mezzo tra luoghi come Groenlandia o Himalaya, ma è già lo step successivo alle Alpi. E poi io sono cresciuto moltissimo tra queste montagne, credo che possa aiutare anche loro a completare il loro processo di apprendimento. Non nascondo poi che la Patagonia per me ha un significato speciale.


Si sente dire che non c'è una vera e propria preparazione per la Patagonia, che per imparare a scalare lì conta l'esperienza fatta sul posto. E che la si costruisce, faticosamente, di spedizione in spedizione.

Penso di essere abbastanza d'accordo. È vero, devi fare esperienza andandoci. Devi conoscere queste montagne e sapere come muoverti. Il tempo a disposizione è sempre poco, da queste parti non ti puoi permettere il lusso di pasticciare. Il fattore esperienza conta molto anche perché il meteo è imprevedibile e le distanze sono grandi.


Come vi organizzerete?

Saremo dieci, ma ci divideremo in tre sottogruppi indipendenti tra di loro, non sono più le spedizioni di una volta. Saranno tre cordate con autonomia decisionale e obiettivi diversi, ognuna con il proprio tutor. Faletti sarà con Meliffi e Cordin, Loreggian con Prato e Ducoli. Io e Schiera con Eynard e Reggio.


Un po' tutti i ragazzi hanno elogiato il fatto che nell'Eagle Team le cose si svolgono con un'etica partecipativa.

Sì, non ho voluto imporre le mie scelte. Non ho voluto dire: tu scali con lui, tu con quell'altro. Ognuno è riuscito a trovarsi in una cordata, in base ai diversi obiettivi e alle proprie esigenze. Credo che sia giusto così, che le cose possano funzionare meglio se le cose partono da loro, in un processo bottom up. Ognuno deve sentire le cose dentro per riuscire veramente a dare il meglio.

l'Eagle Team al completo, presso la sede centrale del CAI a Milano

Quali saranno gli obiettivi?

Le tre cordate andranno ognuna in una delle tre principali zone del massiccio: quella di Faletti al Cerro Torre, quella di Loreggian al Fitz Roy, noi saremo al Cerro Piergiorgio dove vorremmo tentare un itinerarion nuovo.


Quanto conosci quella parete?

Per niente, zero esperienza. La nord ovest del Piergiorgio è una muraglia impressionante, quando sono stato in valle con Luca Schiera ci è balenata l'idea. Nel 2018 con Luchino abbiamo aperto una via sul Cerro Pollone [Maracaibo, 300 metri, 7a/A1, ndr]. In questo viaggio ho fatto un tentativo su una cima chiamata El Tridente con Giga De Zaiacomo, ma non avevamo il materiale che ci serviva per proseguire. Ne ho aperta una invece con Mirco Grasso e Alessandro Baù [Quién sigue?  sulla parete est dell'Aguja Val Biois, nel gruppo del Fitz Roy, ndr]. Diciamo che rispetto a Torre e Fitz Roy, al Cerro Piergiorgio c'è più potenziale, ci sono meno via aperte, è una zona meno frequentata. Probabilmente ci saremo solo noi.


Quali sono i tuoi ricordi più belli della Patagonia?

La via più importante è stata sicuramente Brothers in arms sul Cerro Torre, anche se la conclusione di quella spedizione non è andata certo come speravamo. A livello affettivo invece la Torre Egger con Berna...e anche in questo caso sono ricordi molto belli con un po' di tristezza.


Con lui avete anche sperimentato le attese patagoniche alla massima potenza.

La prime volta che sono stato alla Torre Egger stavamo in truna ed era dura aspettare, con Berna ci abbiamo passato dieci giorni. Tutto volontariamente, nel senso che il villaggio c'era già io non ho mai vissuto la Patagonia di quando non c'erano le previsioni ed El Chalten non esisteva. Non ho mai vissuto la Patagonia di Ermanno [Salvaterra, ndr] ma comunque è stata un'esperienza. Oggi qua tutto è diverso.

In cima al Cerro Torre

Di Ermanno cosa ti piace ricordare?

Ermanno è irraggiungibile, le robe che ha fatto lui sono difficilmente ripetibili. Le prima volta che sono venuto sulla Torre Egger ho capito che era impossibile seguirlo: scalare nelle bufere, anche in artificiale ma quasi con ogni condizione. Ho capito che il suo stile big wall non era il mio, che io cercavo più la libera, lo stile alpino.


Cosa volete portare a casa da questa spedizione?

Ogni cordata avrà un piano A, B, C. Come detto prima, sono tante le variabili da considerare quando sei qua. Se andremo in montagna tre volte e i ragazzi si innamoreranno di queste cime, per me sarà già un grande successo. Obiettivi a parte, voglio vederli soddisfatti, con gli occhi contenti di chi si è riempito la testa di queste montagne meravigliose. Quel che verrà come risultati sarà tutto di guadagnato.