Al ritorno dallo Spigolo Giallo, Comici usò parole di maniera per la montagna e sincere verso i compagni di cordata. Di Mary Varale scrisse: «Il merito principale lo rendo alla mia compagna… per l’incoraggiamento affettuoso e tempestivo nei momenti più critici. Forse senza il suo continuo ausilio morale, noi avremmo battuto in ritirata». Oggi non sarebbero poi parole così lusinghiere per una donna, relegata al ruolo ancillare di incoraggiatrice, ma per il 1933 sono apprezzamenti forti. L’alpinismo femminile non è una rarità nel Ventennio, il fascismo incoraggia anche le ragazze alla pratica della montagna, però sono gli uomini a scalare le grandi pareti. Poche sanno di sesto grado e pochissime si cimentano, perché significa rompere un tabù e fare breccia nel mondo maschilista.
Maria «Mary» Gennaro nasce a Marsiglia nel 1895 da una famiglia di immigrati. Forse scopre la scalata sulle Calanques. Quando si trasferisce a Milano comincia ad arrampicare in Grigna, la palestra dei lecchesi. «Credo che rievocare qualche episodio della mia vita alpinistica non sia del tutto inutile – scrive più tardi alle lettrici di “Vita femminile” – se non altro per ricordare a chi finge di non saperlo, che noi donne non siamo poi quegli esseri pavidi e debolucci che i signori uomini vogliono far credere». Nel 1933, l’anno dello Spigolo Giallo, sposa il giornalista Vittorio Varale, acceso fautore dell’alpinismo sportivo. «Alla fine degli anni Venti “Meri” era un’elegante signora con gli abiti corti sotto il ginocchio, i tacchi alti e il rossetto sulle labbra – ha raccontato Maria Luisa Volpe, nipote di Varale –. Dieci anni dopo osava vestire pantaloni in città, fumare anche per strada e fischiare per richiamare il cane». La montagna è la sua terra libera, dove porta quasi sempre una giacchetta rossa abbottonata in vita e i capelli raccolti in un fazzoletto. E viene la grande stagione del 1934, che culmina con la direttissima alla parete sud ovest del Cimon della Pala, l’ultimo sesto di Mary, in compagnia di Furio Bianchet e Alvise Andrich, l’enfant prodige e terrible dell’arrampicata bellunese. Tempo prima Andrich ha fatto l’impresa sulla Punta Civetta, che varrebbe la medaglia d’oro al valore atletico, ma la medaglia gli viene negata dagli organi centrali del CAI, che i gerarchi hanno rinominato Centro Alpinistico Italiano. Così a Mary sorge il dubbio: è forse successo perché c’era di mezzo una donna? Sta a vedere che gli hanno tolto la medaglia perché ha scalato con lei… È lei la causa della discriminazione. Così in un giorno d’estate a Milano, la signora del sesto grado scrive una lettera di fuoco al presidente della Sezione di Belluno: Francesco Terribile. Anche la lettera lo è: «Caro Signor Terribile, non si stupisca della lettera di dimissioni, anzi la prego di non insistere… ma in questa compagnia di ipocriti e di buffoni io non posso più stare». Il 20 luglio 1935, duecentosedici cime e undici anni dopo la prima vetta, cessa l’avventura alpinistica di Mary Varale.
Mary Varale