Mario Vielmo tra i giganti, suoi i 14 Ottomila

Con la salita dello Shisha Pangma Mario Vielmo ha completato la sua collezione dei 14 Ottomila. Una lunga storia, iniziata nel 1998.
Mario Vielmo © Facebook Mario Vielmo

Lo scorso 9 ottobre Mario Vielmo ha raggiunto la vetta dello Shisha Pangma, completando la sua collezione di Ottomila. Un lungo viaggio, iniziato nel 1998 sul Dhaulagiri e conclusosi pochi giorni fa sugli 8027 metri dello Shisha Pangma. “Mario ha raggiunto la vetta alle 9.40 ora locale, dopo una salita di circa 13 ore lungo la via Inaki” scrivono sui suoi canali social.

La salita è stata molto veloce, con “l’obiettivo di raggiungere quota ottomila prima dell’alzarsi dei venti a 55 chilometri orari”. Rientrato dalla vetta ha raggiunto direttamente campo 2, dove si è fermato a riposare per poi proseguire il cammino verso campo base, che ha raggiunto il 10 ottobre. 

Ora che la sua salita si è finalmente conclusa Vielmo può festeggiare il suo traguardo, è entrato a far parte della ristretta cerchia degli alpinisti che hanno scalato tutti gli Ottomila. Sullo Shisha Pangma è salito senza utilizzare le bombole di ossigeno, nonostante le nuove regole imposte dalla China-Tibet Mountaineering Association, che non autorizzano salite senza l’uso delle bombole sulle montagne presenti in Cina che superano i 7000 metri di altezza. A proposito Vielmo aveva infatti dichiarato: “Sinceramente non so cosa farò riguardo all’uso dell’ossigeno. Verificherò e, se non ci saranno alternative, mi atterrò alle regole  e dovrò utilizzarlo”

Tutti i suoi Ottomila sono stati saliti senza l’utilizzo delle bombole di ossigeno, tranne l’Everest, scalato nel 2003. Come raccontato dallo stesso Vielmo in un’intervista: “Non era nel nostro programma l'uso dell’ossigeno, ma quella notte che partimmo per il tentativo di vetta ci prendemmo due bombole a testa mezze vuote, perché il vento con raffiche a 100 chilometri orari non ci dava tregua. Ho ritentato l’Everest senza ossigeno nel 2008 da sud. Salii fino a circa 8700 metri, sotto la cima sud, ma arrivò il brutto tempo che mi fece desistere”.

 

La storia himalayana di Mario Vielmo

Era il 1996 la prima volta in cui Mario Vielmo ha incontrato l’aria rarefatta, dell’altissima quota. In quell’anno tenta infatti la salita del Broad Peak (8047 m), trovandosi però costretto a rinunciare a circa 7500 metri. Due anni dopo eccolo riprovarci, questa volta in Nepal, sul Dhaulagiri (8167m), dove raggiunge con successo la vetta senza utilizzare le bombole di ossigeno. Passano due anni e scala anche il Manaslu (8163 m) e l’anno successivo si prende il Cho Oyu (8201 m) in solitaria. Nel 2003 decide di celebrare il cinquantesimo anniversario dalla prima salita all’Everest scalandolo, per la parete di nord-est, utilizzando le bombole. L’anno successivo si concentra invece sul più basso degli Ottomila, lo Shisha Pangma, dove tocca gli 8008 metri della cima middle. E ancora, nel luglio 2005 raggiunge gli 8035 metri del Gasherbrum II.

Il suo sesto Ottomila è il Makalu (8463 m), scalato nel 2006 portando fino in vetta la fiaccola delle Olimpiadi invernali di Torino 2006.  Nel 2007 è invece sul K2, con la sfortunata spedizione di Daniele Nardi che vede la scomparsa di Stefano Zavka. Una delle vette più dure di tutta la sua vita. 

Passa così una stagione e la voglia di Ottomila non si placa. Così, nel 2008, tenta la scalata dell’Everest senza ossigeno. Questa volta prova a salire per il versante nepalese, ma un’improvvisa bufera di neve lo costringe a rinunciare a soli 200 metri dalla vetta.

Seguono alcuni anni di pausa dalle grandi montagne, prima di un tentativo al Gasherbrum I (8068 m), interrotto a 120 metri dalla cima a causa di una bufera. Due anni dopo eccolo però in vetta al Kangchenjunga (8586 m), il viaggio continua.

Nel 2015 vive in prima persona il terribile terremoto del Nepal. Vielmo si trova infatti al campo base dell’Everest per un tentativo al vicino Lhotse (8516 m) quando la terra trema e una valanga travolge tutto e tutti ai piedi della montagna, uccidendo oltre venti alpinisti. 

Nel 2016 torna nuovamente in Nepal dove riesce della salita dell’Annapurna (8091 m) mentre un anno dopo raggiunge la vetta del Lhotse segnando quota dieci Ottomila.

L’undicesimo prova a raggiungerlo nel 2018 quando tenta la scalata dello Shisha Pangma, decidendo però di lasciare la spedizione dopo la scomparsa dell'alpinista bulgaro Boyan Petrov. Pochi mesi dopo, in estate, si traferisce in Pakistan dopo tenta per la seconda volta di raggiungere la vetta del Gasherbrum I, ma rinuncia a causa del maltempo a campo 3.

Il 2019 per Vielmo è l’anno del Broad Peak, il primo Ottomila tentato in carriera, che riesce a salire nonostante le condizioni di freddo intenso e vento forte. Il Gasherbrum I invece arriva solo nel 2021.

Giunto a 12 Ottomila nel 2022 tenta la vetta del Nanga Parbat (8125 m), senza successo. Ci riprova allora nel 2023 riuscendo nella salita. Rimane solamente lo Shisha Pangma, che tenta nel settembre dello stesso anno, per la seconda volta. Ma rinuncia dopo aver vissuto in prima persona gli effetti di una valanga. Decide allora di riprovarci nell’aprile 2024, ma anche questa volta le cose non vanno secondo i piani e Mario Vielmo si trova costretto ad annullare la spedizione in seguito alla mancata concessione dei visti. La speranza è però l’ultima a morire così Vielmo decide di organizzare una nuova spedizione per l’autunno dello stesso anno. Questa sarà la volta buona, quella in cui potrà guardare dalla vetta l’altopiano del Tibet, consapevole di aver concluso la sua cavalcata sulle quattordici montagne più alte della Terra. 

 

Gli Ottomila di Mario Vielmo

  • 1998 -  Dhaulagiri

  • 2000 – Manaslu

  • 2001 – Cho Oyu (in solitaria)

  • 2003 – Everest (con uso di ossigeno)

  • 2005 – Gasherbrum II

  • 2006 – Makalu

  • 2007 – K2

  • 2013 – Kangchenjunga 

  • 2016 – Annapurna

  • 2017 – Lhotse

  • 2019 – Broad Peak

  • 2021 – Gasherbrum I

  • 2023 – Nanga Parbat

  • 2024 – Shisha Pangma