Mario Casanova ha raggiunto la vetta del Lhotse: la guida alpina trentina ha toccato la cima del quarto Ottomila più alto al mondo (8516 metri) alle 4.30 ora locale del 20 maggio, durante la spedizione che aveva intrapreso insieme a Silvestro Franchini. Meno fortuna ha avuto il suo compagno, che ha invece rinunciato dopo avere raggiunto il campo 4 e da cui si era separato durante la salita.
Casanova aveva già scalato il Dhaulagiri nel 2017, con il valtellinese Marco Confortola. Due anni dopo aveva tentato l’Annapurna e il Manaslu. Classe 1970, gestore del Rifugio Mantova al Vioz, aveva preparato con cura questa spedizione e aveva postato un messaggio il 16 maggio con il "programma" della salita. "Domani ci provo, alle prime luci partenza per campo 2 dove rimarrò a dormire, mattina seguente direzione campo 3, alcune ore di riposo cibo e bevande e in base al vento partenza per tentare la cima prevista per la giornata del 19 maggio. La forma non è al cento per cento ma ci provo ". Con un ritardo di solo qualche ora rispetto al programma originale, per Mario è arrivata quindi la soddisfazione della cima.
Più complessa la vicenda di Franchini, che ha incontrato diversi contrattempi sul suo cammino, come riportato anche nel suo caso in un post. “Partire direttamente dal campo base per il mio primo 8000 e per la quarta montagna più alta della Terra non era proprio quello che avevo pianificato di fare (...). Il mio programma era quello di dormire al campo 2 con Mario Casanova e poi al campo 3, ma quando sono arrivato al campo 2 in forma e riposato, lo zaino -che avevo lasciato lì qualche giorno prima- era stato svuotato e il sacco a pelo che mi era stato prestato da Massimiliano Gasperetti non c'era più”.
Silvestro ha comunque deciso di continuare. "Alle 23:30 parto dal campo 3. Ho subito caldo poi, piano piano, inizio a stare bene. La fatica si fa sentire al campo 4. Sono stanco e ho voglia di tornare indietro. Non c'è nessuno con me (...). Ogni tanto mi viene da dormire, ma mi sforzo di stare sveglio. Salgo piano piano. Mi dico di fare un pezzo alla volta. Supero gli 8000 metri e sono contento. Vedo il canale finale: c'è un po' di nebbia e la cima mi sembra brutta. Sono stufo di fare fatica. So che la discesa sarà lunga e ho voglia di tornare a casa e vedere le mie bambine. Faccio dietrofront, arrivo al campo 2 stanco. Non so dove sia Mario e non so nemmeno come abbiamo fatto a non incontrarci. Scendo al Campo Base, poi a Namche e, adesso sono già a Luckla. Sono un po' deluso perché non mi sono spinto al limite. E però, sono contento perché sono sano".