Mariano Frizzera ha 85 anni e ancora oggi continua a salire le montagne dietro casa. “Ci metto due ore a salire sulla cima dello Stivo e me la godo anche se ormai ci metto tanto rispetto al passato, ma per me il tempo che ci metto serve solo a ricordarmi quanto invecchio”. L'alpinista trentino ha formato per trent'anni una cordata formidabile con Graziano “Feo” Maffei, un sodalizio nel quale tecnica e forza erano molto di più della semplice somma delle due parti.
Recentemente c'è stata una delle poche ripetizioni della vostra via alla Torre della Vallaccia. Andreozzi si è detto stupito della vostra tecnica su placche di sesto superiore, in un tempo in cui non si usavano le scarpette.
L'unica via che ho fatto con le scarpette è del 1988…lì erano gli anni '60. Scalavamo solo per noi, era già tanto se dicevamo dove eravamo andati. Spesso non lo facevamo, per non sentire raccontare cose esagerate rispetto alle nostre salite. Ci tengo più adesso che sono vecchio a spiegare. Quella via in Vallaccia - noi la chiamavamo la via dei bambini- l'ho tirata io, perché quindici giorni prima Feo si era operato di peritonite, era ancora fasciato. Via dura? Non lo so, non lo sapevamo nemmeno noi. Volevamo che fossero il più possibile difficili, ma sul grado da dare non stavamo molto a pensarci.
La vostra è stata una delle cordate più longeve dell'alpinismo.
Per più di trent'anni sempre assieme, senza litigare, manco una volta. Aveva il carattere di un bambino per purezza, a sentirlo erano tutti più bravi di lui e lui era fortissimo. Veniva da una famiglia agiata, non lo faceva pesare per niente, ma aveva la moto e potevamo andare in giro a scalare. Io invece ero povero, ho sofferto la fame e non mi vergogno a dirlo. All'inizio venivo a Castel Corno ad allenarmi. Mi vergognavo perché c'era gente del calibro di Marino Stenico, allora aspettavo che andassero via e facevo le vie da solo, slegato. Poi ho capito che si correvano certi rischi. La prima corda la comprammo in tre, e altro che canapa. Era una corda di iuta da 10mm, reggeva appena cento chili.
Mariano Frizzera in artificiale © M. Frizzera
Chi ha percorso le vostre vie le ha trovate impegnative, anche a livello mentale.
Per le vie nuove provi soddisfazione dopo, non subito: prima devi smaltire la paura. Noi sul V grado andavamo anche trenta metri senza mettere un chiodo. Uno dei pochi a fare le nostre vie è stato Marco Furlani, ne ha ripetute undici e lui dice che bisognava segnare un grado in più, io non lo so. Andavamo anche quando pioveva o nevicava, ma quando c'era brutto tempo andavo avanti io, che a Feo non piaceva. Credo che sarei stato un valido himalaysta perché io ero forte, Aste diceva che ero una forza della natura. Ma con tre figlie, mi sono detto che laggiù era troppo in alto per me, troppo lontano.
Quando avete capito che avevate “la stoffa” degli alpinisti?
Il Feo aveva sposato la figlia di Marino Stenico, che ci aveva raccontato quali erano per lui le vie più dure delle Dolomiti: la Carlesso della Trieste e la Carlesso della Val Grande in Civetta, la Cassin della Ovest di Lavaredo, il Pilastro della Tofana (via Costantini Apollonio) e la Soldà, sulla sud della Marmolada. Nel 1963 abbiamo fatto la Cassin, avevamo una settimana di ferie. Io avevo da poco aperto una via sul Croz di Naran e ho fatto il confronto, non ci è sembrata così dura. Nessun trentino aveva ripetuto quelle cinque vie, noi ci siamo riusciti ma le prime 4 le abbiamo scalate in un anno, per l'ultima abbiamo dovuto aspettare il 1969. Abbiamo rimandato tutto perché Feo aveva avuto un infortunio. In quel periodo ho vinto anche un premio di Confindustria per gli alpinisti operai. Non mi sembrava vero, perché davano centomila lire e tre giorni pagati a Roma. Io come operaio guadagnavo 35mila lire al mese, pensate un po'...e le mie salite non le ho mandate io al premio, è stato Feo a scrivere loro, a farmi pubblicità...quando ho ricevuto la lettera a casa ho pensato che si fossero sbagliati.
Mariano Frizzera in parete © M. Frizzera
Hai scalato anche con altri alpinisti, seppure più di rado.
Franco Solina non andava d'inverno e allora io andavo con Aste. Litigavamo per la religione. Gli dicevo: ci salva tutti il padreterno, io ho tre figlie come fa a non salvarmi, se ci ha messo al mondo anche lui ha bisogno di noi. Discutevamo molto su questa cosa, ma sei mesi prima di lasciarci mi ha detto che forse avevo ragione. Io comunque gli chiedevo scusa anche se avevo ragione, con lui mi sentivo di fare così. Comunque siamo sempre andati d'accordo, perché noi siamo alpinisti, siamo anarchici di natura. Ci piace andare in montagna perché non ci sono regole, possiamo mica perdere troppo tempo a litigare. Ognuno ha il diritto di pensarla come vuole.
La via a cui sei più affezionato?
La via Wojtyla, ha pochissime ripetizioni, la prima di Marco Furlani. La prima volta che io e Feo volevamo andare in Marmolada a fare una via nostra era il '64, ma Aste ci aveva scoraggiato: «Cosa volete fare una via che arriva solo alla cengia?». Poi ci è andato Messner ad aprirla...comunque sul Piz Serauta abbiamo fatto una bella via. Quando qualcuno ha iniziato a ripetere le nostre vie hanno cambiato idea su di noi, hanno smesso di chiamarci i carpentieri delle Dolomiti.
È passata una sessantina di anni da quelle imprese. L'alpinismo è cambiato completamente.
Parlavo non tanto tempo fa con Manolo e gli ho detto: «Ma tu come fa ai dire di conoscere davvero una parete se non ci dormi?». Noi avremo fatto un centinaio di bivacchi, ora hanno tutti fretta di tornare a casa. Chiamano l'elicottero se viene notte, se si rompono un dito. Io dal Civetta sono sceso con i malleoli rotti, non capisco se questi vogliono fare gli alpinisti o cos'altro. Poi però ce ne sono di bravissimi, che passano in libera sulle nostre vie. Hansjörg Auer è andato a fare una nostra via, la via del paracadutista (L'ultimo dei paracadutisti, aperta da Maffei, Frizzera e Leoni nel 1988, con difficoltà in artificiale fino ad A4, in libera 8b+, ndr). Si è quasi scusato perché ha aggiunto 17 chiodi, ma l'ha scalata in libera, sanno fare cose incredibili. Ne è passato di tempo!