Marco Cordin in sosta sulla via Enigma alla Torre Trieste © Matteo MonfriniMarco Cordin, classe 1999, di Cadine (TN), è quasi pronto per partire verso la Patagonia con il CAI Eagle Team. Viene da dire quasi, perché visto il carattere irruente dell'aspirante guida alpina trentina, da qua a fine gennaio non è detto che non si frappongano nuove avventure alpinistiche. Che sono la vera passione di questo giovane studente di fisica, fin dalla tenerà età.
Generalmente gli adolescenti sono più inclini all'arrampicata sportiva, tu invece hai iniziato presto con l'alpinismo.
Io già da bocia ero un po' disperato come adesso, avevo spizza [prurito, ndr] alle mani. Nessuno scalava nella mia famiglia, poi un giorno un tipo della SAT mi ha visto e ha convinto i miei a farmi fare il corso. È stato amore a prima vista, ma avevo già il pallino delle vie prima di cominciare, volevo sentire il pepe al c**o, sentire il vuoto. A 9-10 anni era difficile però trovare qualcuno che mi portasse in via, soprattuto scalando da primo, perché mi piace così. Mio padre è venuto un paio di volte, poi mi ha detto che non era possibile scalare in alternato per l'età che avevo. Per anni ho faticato a trovare compagni, dovevo corrompere gli adulti. Poi, pian piano, sono riuscito a trovare dei soci.
La via che ti ha fatto sentire maturo?
Buona domanda ma è diffcile rispondere. Sono state tante le esperienze intense, ma quando due anni fa ho fatto la via degli inglesi [difficoltà fino a M8+, ndr] sul Pizzo Badile in invernale con Davide Sassudelli, lì finalmente mi sono sentito in controllo, su un livello duro. Riuscivamo a proteggerci bene, a fare le soste come si deve. Prima avevo fatto vie anche più difficili, ma sul Badile non siamo mai arrivati al punto di rischiare grosso.
Un'altra invernale importante è stata Attraverso il pesce in Marmolada. Cosa cercavi con quella via che avevi già salito nella bella stagione?
Io ho sempre sostenuto che gli alpinisti sono dei gran contapalle. Si nascondono tutti, ma in verità c'è sempre una buona dose di autoaffermazione nella scalata. Io non ho timore di dirlo, volevo mettermi alla prova su una via che è una bomba. Non è stato facile, abbiamo anche fatto stupidate, come perdere tutte e quattro le picche…ma è stata una bella espeerienza, è andato tutto bene, abbiamo fatto anche un bel bivacco in cengia. Avrei ammazzato il mio socio che non aveva il sacco invernale: abbiamo dovuto portare su 4 chili di sacco a pelo più due coperta, ma è stato bello passare la notte lì.
Con Giovanni Malfer su Attraverso il pesce in Marmolada © M. Cordin, G. MalferIn questi anni hai fatto un tuo percorso personale verso la sicurezza?
Sì, anche perché mi sono schiantato qualche volta. All'inizio ti senti un supereroe, ora so che non è così, ho imparato. Non so se mi sono normalizzato, ma ho preso un percorso, anche con il corso guide. Nella vita di tutti i giorni mi sono iscritto a fisica all'università, che poi è quello che mi piace davvero. Avevo iniziato filosofia, ma dopo sei esami ho capito che un libro di filosofia lo puoi leggere anche da solo.
Dalla Patagonia cosa ti aspetti? È un po' la mecca per un alpinista trentino?
È la mecca e speriamo di salire...la becca! Voglio esplorare, senza vincolarmi a una parete singola per un mese…scalerò con Jack Meliffi che è fortissimo e ha un carattere che ben si lega al mio. E poi con Massimo Faletti. Saremo un bel trio...
La storia di quei luoghi ti interessa relativamente?
Non ho mai avuto la passione per la storia, non perché non mi interessa, ma quando ho finito di scalare non ho voglia di leggere ancora di arrampicata. E poi, prima del Nuovo Mattino, il linguaggio era un po' troppo eroico per i miei gusti. A me piacciono le cose un po' alla Sean Villanueva. Scalano duro, ma poi nel video magari vedi che cantano, suonano, dicono due pu****ate. Ma non è il tavolino del bar, è gente che si impegna.
Valle dell'Orco/Caporal - Via Itaca nel sole - Marco Cordin © Giacomo MeliffiHai un livello simile tra arrampicata sportiva e alpinismo, qualcosa di piuttosto particolare.
La via lunga più difficile che ho fatto in Valle del Sarca è Zanzara sud, 8b, come monotiro, a Bassilandia, Pkk, che è 8b+. Comunque il mio massimo l'ho raggiunto al Bus de vela con l'8c. Sulle vie lunghe do il 110%, in falesia forse il 90%. Ma per me arrampicare è come andare in bici, se raggiungi un livello tecnico di un certo tipo poi non lo perdi. Una volta che conosci il tuo corpo e sai come muoverti, come clippare, come stringere le prese…un 7c solido senza allenamento ce l'ho, se mi alleno un po' diventa 8a. Arrampicare è qualcosa che interiorizzi.
Come ti sembra la Valle del Sarca al giorno d'oggi? Troppo turismo dell'arrampicata?
Io alla fine ci lavoro con il turismo dell'arrampicata. Non posso essere ipocrita, per una guida quello è il pane. Mi dispiace che le vie si ungano. Credo ci sia ancora il potenziale per cose nuove e belle su certe fasce, ma non fa tanto per me, non ho l'occhio di Rolando Larcher che sa dove mettere mano in mezzo al tanto che è stato fatto. Ma ci sono posti come Manikia, in Grecia, dove c'è una specie di Valle del Sarca degli anni '80 e loro sono molto presi, curiosi e orgogliosi di avere questo tesoro tra le mani che è appena agli inizi. È molto interessante vedere una cosa del genere che prende piede.