Luce al buio dentro il magico monte di Campo dei Fiori

Grazie a una metodica documentazione fotografica, oggi disponiamo di molte più informazioni geologiche, biologiche, culturali e ambientali sul mondo ipogeo. Come nel caso della storica area carsica a nord della città di Varese
La documentazione fotografica delle grotte si scontra con un primo onnipresente ostacolo. Le grotte, dopo una certa soglia sono buie, assolutamente buie. Quindi, se la fotografia è “scrittura con la luce”, occorre risolvere il problema dell’illuminazione, oltre a quello degli apparati per la ripresa fotografica, che devono essere idonei a operare in un ambiente umido e accidentato.

Scegliere con attenzione

In realtà c’è una questione a monte, per niente banale, che riguarda il “cosa” fotografare. Se all’esterno la fotografia è sempre frutto di una scelta, all’interno di una grotta occorre decidere quale aspetto “togliere dal buio”. Ci sono la progressione degli speleologi, concrezioni eclatanti, si può rendere la forma del vuoto o documentare l’esistenza di una vita animale minuscola ed elusiva. Oggi, la tecnologia offre molte possibili soluzioni, ma fotografare in grotta significa sempre investire molto tempo per progettare e realizzare immagini che comunichino i tanti aspetti del mondo sotterraneo. Inoltre, una cultura dell’immagine non s’improvvisa e di conseguenza abbiamo molte cavità anche importanti con una documentazione assolutamente improvvisata, magari appunti presi con un cellulare a cui non segue mai un vero reportage.

Fotografare per conoscere

In ragione di questo, molte grotte rimangono orfane di immagini, possono avere un rilievo topografico anche preciso, ma non sono in grado di alimentare la nostra conoscenza e il nostro immaginario perché non c’è documentazione visiva. Luana Aimar e Antonio Premazzi, soci dello Speleo Club del Cai Erba, rappresentano una preziosa eccezione, perché dopo importanti esplorazioni in tutta la Lombardia sotterranea sono tornati vicino a casa per documentare i luoghi dove hanno cominciato la loro avventura sotterranea, proprio a Campo dei Fiori. Ovviamente abbiamo chiesto loro qualche informazione su quanto stanno facendo.
Ammoniti di un mare scomparso – Grotta Lucky Strike © Luana Aimar
Ammoniti di un mare scomparso – Grotta Lucky Strike © Luana Aimar

Un sistema carsico davvero importante

«Il nostro lavoro di documentazione è esteso a tutto il territorio varesino con particolare riferimento al monte Campo dei Fiori» raccontano Luana e Antonio. «I motivi della nostra scelta sono molteplici: dal più banale, ovvero che abitando a Varese le grotte del Campo dei Fiori risultano le più vicine e le più facili da raggiungere, sino al fatto che la montagna ospita il sistema carsico più significativo dell’intera provincia». Voi documentate anche cavità molto poco conosciute, perché? «Data la vicinanza e il notevole numero di ingressi (nel catasto della Federazione Speleologica Lombarda sono inseriti oltre 160 ingressi di cavità) è stato più facile documentare metodicamente anche i fenomeni carsici di minor rilievo. Spesso organizziamo le nostre uscite la sera dopo il lavoro. La cosa è resa possibile anche dalla presenza di una rotabile che conduce fino alla sommità della montagna. Cerchiamo di rappresentare tutte le particolarità delle grotte che frequentiamo, a cominciare dagli ambienti per poi arrivare alla fauna, ai fossili e, in cavità che hanno subito impatto antropico, ai manufatti».
Verticalità – Grotta Mattarelli © Luana Aimar
Verticalità – Grotta Mattarelli © Luana Aimar

Oltre il mondo della speleologia

Il vostro lavoro è stato apprezzato anche fuori dal mondo speleologico. Dove lo avete pubblicato? «Nel corso del 2021 abbiamo avuto modo di collaborare alla realizzazione di un volume fotografico edito da Pubblinova Negri Edizioni, una casa editrice locale. Il libro, Lombardia in Natura, è un’opera collettiva di quindici fotografi naturalisti in cui ogni capitolo è dedicato a un’area naturale della regione. Il primo capitolo, a nostra firma, è dedicato appunto alle grotte di Campo dei Fiori». La sistematicità e la continuità con cui operate vi consente di osservare aspetti peculiari del mondo sotterraneo e, verosimilmente anche la relazione con l’esterno… «Un lavoro così sistematico ci ha permesso di cogliere anche situazioni particolari in relazione alle condizioni meteorologiche. Ultimamente, ad esempio, durante un’uscita nella storica grotta Remeron abbiamo avuto modo di documentare lo svuotamento del laghetto Bertarelli a causa del periodo di marcata siccità che affligge ormai da mesi la fascia prealpina. La scorsa estate, al contrario, avevamo documentato un inusuale evento di piena per quanto riguarda la sorgente “di troppo pieno” di Luvinate. Anche per la fauna ipogea vale lo stesso discorso: una presenza costante e un’osservazione attenta permette di cogliere momenti particolari della vita sotterranea come la predazione o la riproduzione».