Luca Ducoli: "In Patagonia poche cime, ma ho imparato molto"

L'alpinista del CAI Eagle Team ha salito con Silvia Loreggian la Williams-Cochrane sull'Aguja Poincenot, ma hann dovuto rinunciare al Cerro Torre
In vetta con Silvia © L. Ducoli

Luca Ducoli è appena tornato dalla Patagonia, dove insieme al CAI Eagle team ha partecipato a una spedizione che gli ha lasciato un po' di delusione per gli obiettivi non raggiunti, ma che è stata anche molto utile per imparare la dura legge di quella terra dominata dai venti, dove gli alpinisti sono in balia del meteo. "Comunque si stava meglio là che a casa, dove sono tornato al lavoro. Andare in Patagonia è stato bellissimo. El Chalten è un paesino, ma c'è il mondo dell'arrampicata".

Inizialmente su cosa avete puntato?
Abbiamo provato ad andare al Nipo Nino, sotto il Torre, con Matteo e Alessandra, Silvia [Loreggian, ndr] aveva l'influenza. Le cose non sono andate, non si è fatto niente e la volta dopo lei era guarita. Allora siamo andati al passo superiore, dove ti accampi, l'obiettivo era di fare la Potter-Davis sulla Aguja Poincenot (sulla parete nord, 400 metri, 75°, 7a). Sfortunatamente c'era ghiaccio nelle fessure, non si riusciva. Abbiamo fatto la Williams-Cochrane, una via che ha due-tre tiri belli, divertenti. Neve, ghiaccio, un po' di misto e poi total dry, perché di mettere le scarpette con quel freddo non ne avevamo voglia, abbiamo tenuto scarponi e ramponi sempre. È una via lunghissima, gira tutto intorno alla Poincenot.

Per Ducoli è sfumato il Torre, ma ha salito la Aguja Poincenot © L. Ducoli
Con il tutor Silvia Loreggian © L. Ducoli

Purtroppo ci sono stati anche imprevisti di altro tipo.
Negli ultimi giorni volevamo fare il Torre, la via dei Ragni. Io e Silvia siamo andati da dietro. Al Circo de los Altares ci siamo arrivati dal passo Marconi, abbiamo camminato 40 chilometri. Abbiamo dormito lì, il giorno dopo siamo andati fin sotto L'Elmo, ma era davvero...un circo. Già alle due di notte c'era un sacco di gente che saliva. Troppe persone, cordate anche molto lente e impreparate. Uno dei cileni è caduto due volte, un altro aveva i ramponi semiautomatici in alluminio. Non era una bella situazione, non aveva senso cacciarsi là in mezzo.

Tanta delusione?
Sì, perché tornando dal Torre devi attraversare un ghiacciaio molto monotono e hai 12 ore per pensare, non puoi fare altro e ho pensato a tutto quello che avrei potuto fare di diverso per salire e non mi è venuto in mente niente. Non ci siamo potuti fermare nemmeno un giorno in più, perché arrivava il brutto tempo.

Insomma, più che cime, ti sei portato a casa un po' di insegnamenti?
Sì, ho imparato che lì davvero il meteo è quello che è. Che in Patagonia devi capire tutta una logistica molto complicata. E poi, quando eravamo in cima alla Williams abbiamo visto i cileni del Fitz Roy, quelli che poi sono stati salvati. Mi ha dato molto da pensare, mi ha fatto vedere con i miei occhi che ci vuole un attimo a sbagliare qualcosina e a finire in quella situazione. Non credo che andrò in Patagonia 15 volte come il Teo, ma ci voglio tornare, il Cerro Torre e il Fitz Roy li vorrei scalare.

Hai legato molto con Silvia?
Ho sempre scalato con lei e mi sono trovato benissimo. Lei è fortissima e ho avuto l'occasione di imparare tanto, non è scontato. Sono stato fortunatissimo.