Leopoldo Gasparotto: alpinista partigiano

Sono trascorsi 79 anni dalla scomparsa di Leopoldo Gasparotto, alpinista ed esploratore che pagò con la vita l'impegno nella resistenza.
Leopoldo Gasparotto. Immagine di dominio pubblico, autore sconosciuto.

Era il pomeriggio del 22 giugno 1944 quando una scarica di fucile esplosa da un plotone delle SS ruppe il silenzio. Tra le campagne intorno al campo di prigionia di Fossoli echeggiarono gli spari e pochi istanti più tardi Leopoldo Gasparotto si accasciava a terra. Subito dopo le cicale ricominciavano l’incessante concerto estivo. Moriva così uno dei più importanti esponenti della resistenza lombarda, antifascista nonché alpinista ed esploratore.

La storia di Gasparotto ricorda quella di un altro alpinista che abbracciò la causa partigiana, Ettore Castiglioni. Quasi coetanei ed entrambi milanesi d’adozione, non sorprende sapere che Poldo e Nino si legarono ripetutamente alla stessa corda. Entrambi se ne andarono nel 1943. Il primo fuggendo dalla prigionia in una gelida notte d'inverno, giustiziato dopo mesi di torture il secondo.

Gasparotto, di professione avvocato, fu antifascista fin dalla marcia su Roma. Aderì prima al movimento Giustizia e Libertà e poi al Partito d’Azione. Durante la guerra, e specie dopo l’8 settembre, ricoprì incarichi sempre più importanti nella resistenza, fino ad arrivare al comando militare delle bande partigiane disseminate sulle Prealpi Lombarde. Senza tregua si muoveva da una valle all’altra per comunicare le direttive e consegnare armi e risorse ai partigiani: Triangolo Lariano, Val Codera, Resegone, Val Brembana, Resinelli, questi sono solo alcuni dei luoghi che frequentò in quel periodo, sempre lontano dalla moglie e dai figli.

Un personaggio di questo calibro non poteva che attirare l'attenzione. Dopo esser fuggito a un primo agguato, Poldo fu arrestato nel dicembre 1942.  Dopo mesi di prigionia e tortura fu fucilato il 22 giugno 1943, dopo che le SS erano venute a conoscenza di un suo piano di evasione per i prigionieri del campo di Fossoli, dove era detenuto.

Ma oltre che antifascista Poldo fu anche alpinista ed esploratore di spicco. Sulle Alpi, specie quelle lombarde, sono diverse le sue prime ancora oggi ripetute e apprezzate (qui l'elenco completo). La sua attività però si estese anche al di fuori dell’arco alpino, in particolare nel Caucaso e in Groenlandia. L’esplorazione della penisola Savoia nel 1934, in Groenlandia Orientale, fu l‘apice della sua attività esplorativa. Di quella avventura rimangono a testimonianza gli unici toponimi italiani di tutto l’Artico: penisola Savoia appunto, ma anche ghiacciaio Roma e ghiacciaio Milano. Al ritorno in Italia, Mussolini e il re vollero incontrare Gasparotto e compagni, promettendo nuovi finanziamenti per esplorazioni ancora più ambiziose. Quando i gerarchi si accorsero però che nemmeno una cima o un colle erano stati dedicati al fascismo e ai suoi protagonisti, fu stabilito che la spedizione andava dimenticata insieme ai suoi protagonisti.

La regione della Groenlandia esplorata da Gasparotto e compagni e i toponimi dati a colli, ghiacciai e cime. Elaborazione di Giovanni Baccolo - Storie Minerali.

La vita di Gasparotto si concluse quel 22 giugno di tanti anni fa in un anonimo campo. Nella fotografia che ne decora la tomba, al Cimitero Monumentale di Milano, compare un uomo distinto, dallo sguardo risoluto. Ripensando alla sua storia, si può davvero dire che Leopoldo visse senza mai tradire i propri ideali. Prima grande alpinista e avventuriero, poi padre premuroso (nonostante non conobbe mai Giuliano, il secondogenito) e infine coraggioso esponente della resistenza.

Mi piace pensare che il sacrificio di Leopoldo sia un’ulteriore dimostrazione della sua indole. Quella stessa indole che in gioventù lo aveva portato a salire tante cime delle Alpi, o a esplorare mondi lontani e sconosciuti. Chi sente così forte il richiamo della libertà e dell’avventura, difficilmente può accettare i soprusi e le discriminazioni che impregnano regimi e dittature.

La tomba di Leopoldo Gasparotto, al cimitero Monumentale di Milano. Fotografia di Giovanni Baccolo.

In uno degli ultimi appunti che riuscì a riportare sul diario di prigionia, Poldo dedica un ultimo pensiero alle amate montagne, tradendo un’indicibile malinconia. Forse intuiva che non le avrebbe più ammirate:

Per la prima volta da oltre vent’anni non sono, in quest’epoca, sulle guglie della Grignetta o della Presolana, sul nudo granito della Val Masino o sugli sterminati ghiacciai dell’Oberland Bernese o del Bernina. Quando rivedrò le montagne?

Sento la nostalgia dei miei sci, della piccozza e del suono del chiodo che entra nelle scalfitture della roccia. Qui il capocordata si arresta, spinge il corpo oltre lo spigolo, osserva la placca liscia, arretra, trova una fessura, introduce il sottile corto chiodo. Pochi colpi di martello, moschettone, chiodo e via, il passaggio è superato. Poi viene un facile camino: pochi metri ancora, ed egli si trova su un comodo punto di riposo; altro chiodo e l’ordine al compagno di togliere il chiodo precedente e di avanzare… Ma nessuno avanza, nessun compagno di cordata mi segue; sono qui, nella trincea, avanti la creta bruna che mi riporta sui lontani Monti Pallidi.