22.08.2023 - - - ambiente cultura alpinismo
Si narra che la conversione di Renzo Videsott sia nata dall’incontro con un camoscio ferito: negli occhi dell’animale morente il giovane cacciatore avrebbe colto la violenza del proprio gesto, scegliendo di rinunciare a ogni conquista per dedicarsi alla protezione dell’ambiente alpino. «Così come mi ero impegnato sulle vie nuove nelle Dolomiti, mi sono battuto a fondo poi per la specie stambecco e per l’istituzione del Parco del Gran Paradiso». Sarebbe stata una scelta notevole per qualunque alpinista, ma Videsott non era un alpinista qualunque. Aveva talento da vendere e nel 1929, con Rittler e Rudatis, aveva firmato da capocordata uno dei primi sesti gradi italiani sul gigantesco spigolo della Busazza. Era un uomo passionale e non faceva niente a metà.
Il primo parco nazionale italiano naviga in pessime acque dopo la cura della burocrazia romana e fascista. Videsott denuncia: «Nel 1944 gli stambecchi sono ancora 1197 e nel 1945 la caduta è arrestata al numero quasi certamente mai riscontrato di 419! Questo disastroso crollo è solo un indice che addita una devastazione in tutta la vita del parco: case, strade, fauna, flora, studi, moralità…». È appena stato nominato commissario straordinario su proposta del CLN di Torino e lavora di gran lena per rimettere insieme i pezzi del Paradiso. Renzo è un uomo solo, o quasi, perché l’Italia è uscita con le ossa rotte da cinque anni di guerra e la protezione della natura è in fondo alla lista dei problemi del dopo Liberazione, ma lui e pochi altri intellettuali pensano che la rinascita di un paese civile dipenda da un corretto rapporto tra uomo e ambiente. I parchi rivivranno grazie alla loro ostinazione, e lo stambecco si salverà.
«Già ecologo maturo quando in Italia di ecologia non parlava nessuno – ricorda Alfredo Todisco –, Videsott mi insegnò a guardare alla natura come a un complesso in cui tutto si tiene. Era un pensiero rivoluzionario rispetto a quello corrente, influenzato da una cultura scientifica che perseguiva il dominio dividendo e smembrando...». Ecco la modernità del pensiero, difficile da declinare sul piano politico e sociale. Diventato direttore del Parco, vi dedica vent’anni di passione, competenza e rabbia, inimicandosi le popolazioni che presto lo additano a nemico; lui risponde pane al pane, picchiando nel suo stile – «per salvare gli animali dallo sterminio non occorre difenderli dall’aquila, dalla valanga, dalla fame: basta proteggerli dall’uomo» – finché nel dicembre 1968 i consiglieri valdostani lo accusano di condotta anti-valligiana e perfino di incompetenza scientifica. Infine il presidente Oberto lo invita a lasciare.
Camoscio nel bosco © Andrea Greci