Un documentario spettacolare sull’impresa di Nirmal Purja,il nepalese che in meno di sette mesi è riuscito ad arrivare sulla vetta di tutte le 14 vette più alte del mondo.
14 peaks: nothing is impossible è diretto da Torquil Jones e prodotto da Jimmy Chin ed Elizabeth Chai Vasarhelyi, che nel 2019 avevano vinto un oscar per il film
Free Solo. Il documentario è disponibile su Netflix, a partire da lunedì 29 novembre.
Nato nella regione del
Myagdi in Nepal, dopo aver trascorso la sua infanzia in un villaggio, Nirmal Purja ha scelto una carriera militare arruolandosi nelle brigate Gurkha, unità militari di alto livello composte da nepalesi e impiegate dall’esercito britannico in tutto il mondo, in operazioni difficili e rischiose. Dopo la carriera militare, Nirmal ha deciso di diventare un alpinista, e nel 2012 si è concentrato sull’himalaysmo. Nel 2014 ha salito il suo primo 8000: il Daulaghiri. Poi, nel 2016, è riuscito ad arrivare sulla vetta dell’Everest. Una volta raggiunto il punto più alto della Terra, Purja ha deciso di mettere in piedi quello che lui stesso ha definito un “progetto possibile”:
ovvero scalare le 14 vette più alte del mondo in meno di sette mesi.
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Project possible 14/7
Dall’Annapurna allo Shisha Pangma, senza dimenticare nessuno dei mastodonti asiatici. Per spostarsi da una montagna all’altra, però, Purja ha usato l’elicottero, per evitare la fatica e i tempi lunghi degli avvicinamenti, con un notevole risparmio di tempo. L’impresa era molto ambiziosa ed è stata pensata con l’obiettivo di far entrare l’alpinista nepalese nella storia dell’alpinismo. Che si sia guadagnato il suo posto o meno, le opinioni sono discordanti.
Purja non è infatti molto amato da alcuni commentatori, che puntano il dito contro la qualità delle sue performance, spesso molto lontane dallo spirito classico dell’himalaysmo, e storcono il naso per il suo impiego eccessivo della tecnologia o per l’utilizzo dell’ossigeno oltre i 7500 metri di quota.
Un'immagine del film © Netflix, Nimsdal © Netflix, Nimsdai
Dall’Annapurna allo Shisha Pangma
La corsa del nepalese sui giganti dell’Himalaya è cominciata il 3 aprile 2019, quando Purja ha affrontato la via normale dell’Annapurna, sul versante nord della montagna. Tutto è filato liscio. Poi, il 12 maggio, senza far uso delle bombole dell’ossigeno, ha toccato la vetta del
Dhaulagiri. Alle 7 del mattino successivo, la squadra è rientrata al campo base spostandosi via elicottero verso il Kanchenjunga, la cui la sommità è stata raggiunta dall’ex militare il 15 maggio. Alla fine dello stesso mese, è stata la volta dell’Everest, e quindi, dopo sole 10 ore e 15 minuti, quella del
Lothse, la quarta montagna più alta della Terra. Non solo: 38 ore più tardi, il 24 maggio, Nirmal è giunto anche sul
Makalu.
Un mese dopo, è arrivato il momento degli 8000 del Pakistan. Il 3 luglio, l’himalaysta nepalese è sbucato sulla cima del
Narga Parbat. Poi, il 15 luglio, ha salito l’
Hidden Peak, e il 18 luglio il
Gasherbrum II. Infine, il 24 luglio, è stato il turno del
K2: un’ascensione che si è dimostrata molto impegnativa a causa del pericolo valanghe e della neve alta. In ogni caso, due giorni dopo Nirmal era già sulla cima del
Broad Peak, a 8047 metri (il suo 11esimo ottomila in 3 mesi). Infine, il 23 e il 27 settembre l’alpinista ha ancora salito il
Cho Oyu e il
Manaslu.
Rimaneva l’ascensione dello
Shisha Pangma, situato in territorio tibetano. La 14esima montagna più alta della Terra è stata l’ultima vetta ad essere salita da Nirmal, principalmente per il ritardo dei cinesi nella concessione del permesso di scalata. Pechino, reputando che la montagna stia diventata troppo pericolosa, è infatti restia a rilasciare permessi alle spedizioni alpinistiche straniere. Grazie all’aiuto del governo nepalese, Nirmal Purja è tuttavia riuscito a ottenere una licenza speciale e il 29 ottobre è riuscito a calcare l’ultimo 8000 che ancora mancava alla collezione, completando il suo progetto nel tempo record di 6 mesi e 6 giorni.
Un'immagine del film © Netflix, Nimsdal © Netflix, Nimsdai
Doti comunicative ed evidenti capacità alpinistiche
Il 16 gennaio scorso, nel pieno dell’inverno, con un exploit davvero degno di nota,
Nirmal Purja è di nuovo salito sulla vetta del K2. Con lui c’erano altri 9 alpinisti nepalesi.
Unico non sherpa della spedizione, è riuscito a compiere l’ascensione senza far uso delle bombole di ossigeno. In quell’occasione, quello di
Nirmal (noto anche con il pseudonimo di Nimsdal) è stato il volto più noto della spedizione: oltre ad aver mostrato le sue evidenti doti fisiche e alpinistiche, si è messo in mostra anche per le sue capacità comunicative.
Oggi la figura di Nirmal Purja colpisce per le capacità alpinistiche e la carica agonistica, ma non piace molto agli alpinisti occidentali per il suo approccio poco ortodosso alla materia. I detrattori hanno gioco facile a puntualizzare che senza il budget sostanzioso e i mezzi illimitati a sua disposizione le sue imprese non sarebbero state possibili. I suoi sostenitori, invece, mettono in rilievo il fatto che l’ex militare di Sua Maestà britannica ha contribuito a spostare l’attenzione globale verso l’alpinismo nepalese e verso una maggiore sensibilizzazione nei confronti della fragilità degli ambienti d’alta quota e sui costi umani e sociali del cambiamento climatico.