Laura Rogora non ha bisogno di presentazioni per i patiti dell’arrampicata sportiva: la diciannovenne romana, atleta delle
Fiamme Oro, ha iniziato a comparire nelle cronache e a ottenere risultati sportivi importanti fin da quando era ragazzina.
Lo scorso luglio, Laura ha ottenuto un importantissimo traguardo in Spagna, completando la salita della
via Ali hulk sit extension total, 9b, sulla falesia di
Rodellar, in Aragona. È stata la
seconda donna al mondo ad aver salito una via di una difficoltà così elevata (dopo l'austriaca Angela Eiter), senza peraltro averla pianificata in maniera approfondita nelle settimane precedenti.
«Era la prima volta che andavo a Rodellar» conferma Laura, «e per tutto l’inverno non avevo scalato sulla roccia. Mi stavo infatti preparando in vista delle Olimpiadi (
poi rinviate per la pandemia n.d.r.)».
Come descriveresti la dimensione del nono grado?
«Non è facile dare una definizione valida per tutte le vie, ognuna ha le sue caratteristiche. Posso dire che spesso i climber che arrampicano su gradi inferiori non riescono a immaginare le tipologie di prese di un 9a. Magari pensano che queste non esistano nemmeno. Invece le prese ci sono, ma con conformazioni e inclinazioni diverse. Per completare una via di nono grado, dunque, è necessario un particolare sforzo fisico».
Si può arrivare a certi livelli solo iniziando ad arrampicare da piccoli, come ne tuo caso, o ci sono altre variabili?
«Di sicuro iniziare da molto piccoli aiuta, in quanto abitui il corpo fin da subito a un certo tipo di stimoli. Ma si può diventare molto bravi anche iniziando più tardi: i progressi che si fanno in cinque anni durante l’infanzia o la preadolescenza possono essere, diciamo così, “recuperati” anche in un’età successiva. Poi, certo, c’è anche la componente psicologica. Da piccoli, ad esempio, si può superare più facilmente la paura dell’altezza. Ma secondo me iniziare in giovanissima età può essere un vantaggio soprattutto per una questione fisica».
Laura Rogora su Escalatamasters 9a (Spagna) © Marco Iacono
Cosa ti aspetti nei prossimi dieci anni nell'arrampicata? Che tipo di progressi ci saranno?
«È difficile fare previsioni. La salita del grado sarà sicuramente molto più lenta, come del resto è avvenuto negli ultimi tempi. Sono lontani gli anni Novanta, quando ogni anno l’arrampicata di punta progrediva di un grado. Nei prossimi dieci anni si potrà raggiungere un 9c, successivamente magari anche un 10a, ma non possiamo esserne sicuri. Non è facile trovare vie che siano così dure, in cui sia però presente un numero sufficiente di prese. Le prese non devono essere molte e devono essere sufficientemente “brutte”, ma ci deve essere la possibilità di salirci e di “moschettonare”. Nell’ultima fase dell’evoluzione dell’arrampicata si è cercata maggiormente la lunghezza, rispetto all’intensità, e la resistenza è diventata una componente sempre più importante. Oggi non so come potrebbe essere un 10a. Lo immagino come una via sufficientemente lunga, con blocchi difficilissimi».
Com’è la vita di una giovane climber di altissimo livello? È fatta solo di sacrifici?
«Io non parlerei di sacrifici: l’arrampicata è la mia grande passione. Certo, ci sono momenti in cui sono particolarmente stanca e può essere faticoso andare ogni giorno ad allenarsi. Ma questo non mi pesa più di tanto. L'arrampicata adesso è anche il mio lavoro, e vi assicuro che non è così male. Ora vivo a Trento, dove sono iscritta al primo anno di università, facoltà di Matematica. Anche questo lo faccio per passione: non punto a laurearmi in tre anni, mi rendo conto di non averne il tempo. Scelgo alcuni corsi e mi concentro su quelli. Se poi ci metterò un po’ di più a finire, pazienza. La vita a Trento, com’è facile immaginare, è molto diversa dalla quotidianità di una grande città come Roma. Mi trovo bene, soprattutto per il minor tempo che ci si impiega negli spostamenti».
Cosa vedi nel tuo futuro? Forse l’alpinismo?
«Non lo so. Spero di riuscire a continuare a scalare, magari in montagna, chissà. L’arrampicata è molto varia, ma non escludo l'alpinismo».